Ho avuto la possibilità di riscoprire Albrecht Dürer grazie alla mostra Il privilegio dell’inquietudine organizzata all’interno del Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo. Questa mostra, organizzata in occasione del rientro temporaneo al monastero del dipinto La Madonna del Patrocinio offre la possibilità di conoscere questo artista attraverso tantissime opere grafiche che hanno come minimo comune denominatore la tecnica dell’incisione.
Albrecht Dürer nacque nel 1471 a Norimberga, in Germania, da una ricca famiglia di orafi. Già in casa sviluppò la sensibilità per l’arte, imparando il mestiere del padre, che gli permise poi già nel 1486 di apprendere l’arte della pittura da Michael Wolgemut, frequentando la sua bottega. Proprio qui entrò in contatto una prima volta con la xilografia e appena quattro anni dopo iniziò un viaggio di studio e lavoro tra la Germania e l’Olanda, dove approfondì i suoi studi e le tecniche.
Nel 1494, dopo essere rientrato a Norimberga, sposò la compagna Agnes Frey, ma appena qualche mese più tardi partì per un nuovo viaggio in Italia. Furono numerose le tappe che fece nel nostro paese, passando per Venezia, Trento, Mantova, Padova, Milano e Pavia. Questo primo viaggio in Italia fu l’occasione per approfondire ulteriormente i suoi studi ed è qui che entrò in contatto con il Rinascimento, che segnerà il suo percorso artistico. Alcune tracce di queste prime influenze si possono ritrovare nelle sue rappresentazioni del corpo umano e nelle copie di opere di artisti quali il Mantegna.
L’anno successivo Albrecht Dürer rientrò in Germania e aprì un suo studio, dove diede sfogo al suo stile, che diventò una commistione tra il dettaglio dell’arte tedesca e l’interesse per lo spazio dell’arte italiana attraverso suggestive incisioni xilografiche. Fece nascere così un primo seme per il Rinascimento nordico.
Tra il 1505 e il 1507 venne nuovamente in Italia, fermandosi a Venezia e facendo tappa a Bologna per approfondire i temi sulla prospettiva. I suoi lavori cominciarono a circolare e gliene venivano commissionati di nuovi. La sua passione per il dettaglio emerse però nell’approfondimento degli studi sull’arte che indagano anche sulla matematica e sulle parti più teoriche, che continuò a studiare anche rientrato in Germania e lavorando per l’imperatore Massimiliano I.
Un duro scossone allo stile di Albrecht Dürer lo si deve alla sua conversione al luteranesimo, che gli farà abbandonare lo stile decorativo che aveva sviluppato in favore di uno più austero, basato principalmente su soggetti religiosi ed evangelici. L’artista morì nel 1528 a Norimberga, dopo aver fatto ulteriori viaggi anche nei Paesi Bassi dove si avvicinò allo stile Fiammingo e durante il quale scrisse un diario che ci permise di decodificare al meglio le sue opere.
Nella sua produzione artistica Albrecht Dürer ha utilizzato principalmente due tecniche: la xilografia prima e il bulino successivamente. Basti considerare che tutto il suo patrimonio artistico arrivato fino a noi si compone di circa 250 xilografie, 100 bulini, 6 acqueforti e 3 puntesecche.
Ma qual è la differenza tra queste due tecniche, che offrono un risultato finale simile, seppure quello del bulino risulta più dettagliato?
La xilografia è una tecnica di stampa in rilievo, ovvero è ottenuta bagnando di inchiostro una matrice su cui le parti da stampare si trovano in rilievo. La matrice viene preparata dall’artista scavando in tavolette di legno le aree che devono essere vuote. Ci sono due tipologie di tavolette: legno di testa, più duro da lavorare e si ha quando il legno è tagliato in senso perpendicolare alla vena o legno di filo, più morbido, ottenuto da un taglio longitudinale alla vena dell’albero.
La tavoletta viene preparata utilizzando diversi strumenti per l’incisione, anche a seconda dei tratti che devono essere incisi. Successivamente l’intera superficie viene bagnata d’inchiostro attraverso un rullo, lasciando vuote le superfici scavate, stampando quindi un negativo di quanto inciso.
La tecnica del bulino, invece, rientra nelle tecniche di stampa in cavo, ovvero l’inchiostro viene rilasciato sul foglio di carta mediante dei segni incisi sulla superficie della matrice. Albrecht Dürer utilizzava delle matrici in rame, che venivano intagliate per via di un bulino, ovvero un piccolo scalpello d’acciaio con un manico in legno che si adattava alla conca della mano dell’incisore. Durante l’incisione si sollevano dei riccioli di materiale che vengono poi rimossi con un raschiatoio che serve appositamente per pulire tutti i solchi. Proprio i solchi vengono poi riempiti di inchiostro e trasmetteranno quanto disegnato al foglio di carta.
Ripercorriamo la storia di Albrecht Dürer attraverso le sue opere. Specializzatosi in incisioni diede un apporto attivo a quest’arte, rivoluzionandone la tecnica e il flusso, occupandosi in prima persona del processo completo: dal disegno all’incisione fino alla stampa vera e propria.
Le opere di Albrecht Dürer, grazie all’influenza italiana, fecero nascere il movimento conosciuto come rinascimento nordico, che fino a quel momento si era sviluppato solo in Italia.
Nonostante il grosso della produzione di Albrecht Dürer sia legato a temi religiosi cristiani, nelle sue incisioni si possono ritrovare anche animali, streghe, e altri personaggi derivanti dalle tradizioni nordiche. Guardando le sue opere non si può che rimanere sorpresi dalla maestria e dal nuovo utilizzo delle tecniche della xilografia e del bulino.
Albrecht Dürer ebbe il suo approccio con la xilografia già nel suo primo apprendistato presso la bottega del pittore Michael Wolgemut. Proprio qui, dal 1486, oltre ad imparare le tecniche della pittura impara a conoscere questa tecnica che lo renderà famoso in tutto il mondo anche a secoli di distanza. Nella bottega di Wolgemut si realizzavano infatti le xilografie per illustrare le stampe più importanti della città, come il Liber Chronicarum di Hartmann Schedel, un’opera per la quale sono stati sviluppati ben 650 legni xilografici. La bottega di Norimberga vedeva quindi la presenza di diversi artigiani: i disegnatori che concepivano le illustrazioni poi passati agli intagliatori che li scavavano sul legno e facevano terminare la lavorazione agli stampatori.
Nonostante non sia dimostrato, pare che già qui Albrecht Dürer cominciò i suoi lavori, in alcune illustrazioni della Creazione di Eva e delle Storie di Caino e Abele.
Questa tecnica affascinò tantissimo il giovane artista che, incuriosito anche da grandi artisti stranieri, intraprese un viaggio di quattro anni lungo il Reno, poi a Colmar, Basilea e Strasburgo. Tracce del suo lavoro si possono infatti ritrovare anche nel Narrenschyff (Nave dei folli) di Sebastian Brant, pubblicato proprio a Basilea nel 1494.
La vera vena visionaria di Albrecht Dürer si sviluppa dopo essere stato influenzato dalle opere del Rinascimento italiano, non solo durante il viaggio del 1494 e 1495, ma anche dopo lo studio di stampe di grandi artisti italiani, che arrivavano fin anche in Germania. I temi preferiti di quest’artista erano storia e leggende allegoriche, che attinge da un mondo tardogotico che stava ormai declinando e che veniva rimpiazzato da forme ben più aggrovigliate e complicate.
Uno dei primi grandi lavori di Albrecht Dürer fu l’illustrazione dell’Apocalisse, dove la tecnica xilografica viene portata ai massimi termini e i dettagli sono davvero impressionanti. Le forme sono piuttosto ricurve e le incisioni sembrano quasi animarsi tanto è la precisione raggiunta e lo stile vibrante delle illustrazioni. Tra le illustrazioni più famose dell’Apocalisse va ricordata quella di San Michele uccide il drago, dove il paesaggio in cui si trova il protagonista è portato quasi allo stato di miraggio e dove l’abilità drammaturgica di Albrecht Dürer ha il suo massimo sfogo.
L’effetto tendenzialmente statico dell’arte tedesca lascia il passaggio a una grande dinamicità, come visibile nella scena de I Quattro cavalieri che caricano sulle ali del vento verso l’umanità.
Per raggiungere questi risultati l’artista rivide la tecnica della xilografia. Fino a quel momento veniva utilizzata attraverso due sistemi lineari: le linee di contorno, utilizzate per descrivere le forme, e una schematica disposizione interna di linee e macchie scure che servivano a definire le ombreggiature e i volumi. Nelle opere di Albrecht Dürer invece non vi era più questa distinzione e ogni singola linea variava in lunghezza, direzione e spessore, in modo da definire anche le luci e le ombre, oltre che la forma dei soggetti. L’abitudine di acquerellare le xilografie diventa obsoleta e viene dismessa nelle opere di questo artista.
Ovviamente questa nuova tecnica xilografica rendeva necessario una produzione completa da parte di Albrecht Dürer, che non poteva più demandare la fase di incisione, ma doveva occuparsi di tutto il processo, dall’illustrazione all’incisione della lastra di legno.
In una nota scritta a mano di Albrecht Dürer si legge che perpetuare l’immagine dell’uomo oltre la morte ed illustrare la Passione del Signore sono le principali ragioni d’essere della sua arte. Questo spiega in effetti le numerosissime composizioni che ritraggono soggetti cristiani, con particolare attenzione al tema della salvazione. L’artista diviene quindi un tramite per veicolare le sofferenze della vita di Cristo, tentanto di coinvolgere quanto più possibile il fruitore con pezzi suggestivi ed emotivi che permettono quindi di trasmettere meglio i concetti e di renderli memorabili.
Per questo scopo Albrecht Dürer predilige la xilografia, apprezzata perché attraverso i contrasti marcati e l’immediatezza delle linee, riesce a restituire il dramma cristiano. Per coinvolgere ulteriormente il pubblico, nelle scene xilografate vengono utilizzati dettagli contemporanei, come l’abbigliamento alla moda del tempo dei protagonisti, facendo pensare al fruitore che la scena si svolga proprio davanti ai suoi occhi.
Nonostante gli studi in Italia sulla prospettiva, Albrecht Dürer la utilizza a suo modo per veicolare i messaggi e le atmosfere della scena. In Ecce Homo, ad esempio, si ritrova una prospettiva imperfetta tra il punto di fuga dei gradini e quello del muro del palazzo, che divergono enfatizzando il contrasto tra Gesù e la folla ostile. Anche i visi ritratti sono esasperati, soprattutto nei sentimenti legati alla disperazione a alla sofferenza, come nella tavola Cristo sul monte degli ulivi. Già in queste opere emerge l’influenza italiana nella gestione degli spazi dietro ai soggetti.
Durante la sua vita artistica Albrecht Dürer tornò più volte sul tema della passione di Cristo e ogni volta scelse la xilografia o il bulino, sia perché ritenuto il mezzo che gli permetteva di avere un risultato più efficace secondo il suo pensiero, sia perché gli permetteva di raggiungere un numero molto ampio di utenti rispetto a un dipinto: queste opere erano infatti più economiche e replicabili e pertanto potevano circolare maggiormente.
In un ciclo di 36 tavole, noto come Piccola Passione, Albrecht Dürer sfrutta la xilografia per costruire immagini immediate, estremamente espressive e incentrate sulla sofferenza fisica e umana di Cristo. In quest’opera si riscontra quanto appreso dall’artista in Italia, dove i bruschi passaggi tra chiaro e scuro lasciano il passo a tonalità intermedie, conosciute come tono medio grafico, che viene ottenuto attraverso un sistema di linee lunghe e parallele che si sovrappongono alle linee descrittive delle forme. Nello stesso periodo sviluppa anche una Piccola Passione a bulino, che gli permette di aggiungere ulteriori dettagli e prestarsi a una lettura più attenta, ma meno efficace perché probabilmente più interessata all’opera che alla storia narrata.
Dal 1495 Albrecht Dürer affianca il bulino alla xilografia, padroneggiando in poco tempo anche questa nuova tecnica. La sua bravura gli permette di forzare la rigidità della tecnica, evocando frequenti mutazioni di intensità nelle ombre grazie a variazioni di pressione sull’incisione. Anche qui porta una certa innovazione e aggiunge alla tecnica classica doppi tratteggi incrociati, frammentazioni di linee in leggeri tratti e punti, così da creare una modellazione dei corpi quasi pittorica.
Mentre nelle xilografie Albrecht Dürer si dedicava a temi prettamente religiosi, nelle sue opere al bulino le tematiche erano più ampie. I suoi primi lavori arrivati fino a noi con questa tecnica, ad esempio, riprendevano soggetti tipici della tradizione di storie e leggende nordiche. Come nell’immagine La Strega del 1500, dove il soggetto cavalca un caprone, seduta al contrario.
In altre opere ritrae amanti, che seppure siano un soggetto lieto e felice, appaiono tra le fronde di un albero la morte. Altre volte, invece, si allontana dagli elementi originali e nelle sue composizioni esplora nuovi mondi, come ne Le insegne della morte, dove torna ancora una volta sul connubio tra amore e morte, rielaborato in chiave araldica. Qui una giovane alla moda si trova in una conversazione amorosa con un vecchio selvaggio che rappresenta la morte e che regge un blasone raffigurante un teschio. Ancora una volta si può ammirare l’incredibile precisione per il dettaglio dell’artista.
Questi sono solo alcuni degli esempi dei bulini in cui Albrecht Dürer narra scene non legate alla religione e in cui mischia aneddoti sulle tradizioni con composizioni da lui stesso inventate.
Agli inizi del 1500 Albrecht Dürer raggiungerà il suo più alto picco di finezza nella produzione dei bulini. Ancora una volta i temi non sono tutti legati alla religione cristiana, ma sono analizzati nel dettaglio, nella particolarità del singolo oggetto e della forma.
Esempi della produzione di questo periodo sono Sant’Eustachio del 1501, in cui l’occhio si sposta dalla figura del santo agli animali e poi al paesaggio, caratterizzato da un’infinità di dettagli. Per creare questa lastra l’artista ha osservato attentamente la realtà, guardando dal vero alberi e ciuffi d’erba, ma anche cani in diverse posizioni e altri soggetti dell’incisione. L’intero bulino è un grande blocco compatto, in cui la natura tende al bidimensionale e le forme si incastrano le une nelle altre, rendendo complicato definire i confini di ogni elemento, animale o vegetale che sia.
Estremamente massiccio è anche il soggetto del Rinoceronte, del 1515. In questo caso emerge uno stile più decorativo che avvicina le forme reali ad altre più astratte e decorative. In questo caso Albrecht Dürer non aveva mai visto il soggetto dal vivo, ma si rifà ad un disegno ricevuto a Norimberga. L’interesse dell’artista rimane spesso concentrato sulle scene di vita quotidiana, come quelle dei contadini, dei mendicanti, delle lavandaie, spesso riviste in chiave ironica.
A caratterizzare la produzione artistica di Albrecht Dürer, ma anche tutta la sua vita più in generale, c’è sempre stata una spiccata curiosità e voglia di conoscenza. Per questo motivo si avvicinava a ciò che inevitabilmente poteva allontanarlo dagli insegnamenti dei suoi maestri, come la geometria, la prospettiva, le teorie rinascimentali sulle proporzioni dei corpi e sui canoni della bellezza. Nonostante fosse attirato dalle forme classiche, dopo il viaggio in Italia esplode in lui un conflitto che lo porta ad un’evoluzione della sua arte.
Conscio anche della resistenza tedesca sul tema del nudo, la inserisce in uno stile antico all’interno di opere ben più contemporanee, come in Le quattro donne nude del 1497, dove camuffa la forma classica all’interno di immagini dal contenuto moralistico.
Altre volte invece le opere fanno riemergere l’interesse dell’autore per il classico, come in Ercules del 1496, ricollegandosi a temi dell’antichità, caratteristica tipica del rinascimento.
In Adamo ed Eva, emerge la commistione dei due stili: i corpi hanno proporzioni e pose ideali, ma sono rappresentati con convenienza classica. La storia biblica diventa solo un pretesto per rappresentare l’essere umano nella forma che secondo Albrecht Dürer avrebbe dovuto avere nella mente il Creatore. In queste opere riprende anche delle sue precedenti creazioni e così il cavallo di Sant’Eustachio riemerge nel Grande Cavallo, dove viene messa in mostra la bellezza potente e i muscoli dell’animale. Proprio in queste rappresentazioni, decisamente inusuali per l’arte tedesca, che probabilmente le vedeva come artificiose e innaturali, prende il via il Rinascimento nordico, con un collegamento tra la tradizione tedesca e la “maniera moderna” italiana.
Nelle opere cinquecentesche di Albrecht Dürer si inizia a notare l’influenza italiana anche nella gestione della spazio intorno ai soggetti, che viene razionalizzato dentro a schemi geometrici. In queste opere vige l’idea che la distribuzione delle figure debba essere preceduta dalla costruzione di uno spazio coerente entro il quale poterle inserire.
Uno dei migliori esempi di ciò è la Natività del 1504, in cui viene inciso un magistrale teatrino prospettico al’interno del quale si svolge il momento culminante dell’incarnazione di Cristo. L’ambientazione architettonica assume un ruolo preponderante che quasi relega in secondo piano i protagonisti della scena. Qui si può vedere uno studio dettagliato delle linee di fuga, che convergono a sinistra.
Anche nelle tavole della Vita della Vergine, emergono una grande quantità di elementi architettonici, spesso ispirati a quelli tipici italiani, che mettono in mostra l’abilità di Albrecht Dürer nella gestione della prospettiva. In queste opere l’artista dimostra che le rappresentazioni sacre possono coesistere con principi razionali senza perdere di umanità e di potenza narrativa. Il tema della prospettiva, anche se già fatto proprio, spinse Albrecht Dürer a visitare Bologna per conoscere le basi teorico-matematiche della rappresentazione della prospettiva che, fino a quel momento, l’artista aveva messo in atto solo in maniera empirica. Da quel momento cominciò anche a scrivere trattati sulla teorizzazione dell’arte, attività che portò avanti fino alla sua morte, creando un volume dedicato proprio alla prospettiva.
Tra tutte le produzioni di Albrecht Dürer ce ne sono tre, nate scollegate, ma riunite sotto al nome di Meisterstiche, ovvero Il cavaliere, la morte e il diavolo, il San Girolamo nello studio e la Melanconia. Nonostante non appartengano a uno stesso ciclo, queste sono state tutte create tra il 1513 e il 1514. Sono legate tra loro da un forte senso spirituale, dove viene messo in scena il diverso approccio al mondo degli uomini. Il Cavaliere esprime l’dea del buon cristiano, che affronta la vita come fosse una guerra, incurante delle insidie, anche grazie alla sua fede. Il San Girolamo, invece, incarna la via del pensiero teologico, mostrato attraverso uno studio la cui intimità evoca la classica spiritualità cristiana. La Melanconia, invece, si discosta dalle altre due opere e contrappone a una vita al servizio di Dio, quella che potrebbe essere considerata una vita in concorrenza con Dio, ovvero quella dell’uomo dedito alla speculazione scientifica.
Questi tre bulini rappresentano l’opera massima dell’artista, attraverso disegni studiatissimi, dettagli ricchi, e un’enorme complessità di realizzazione.
Queste tre opere sono anche il sunto tra la volontà di restituire al pubblico un grandissimo dettaglio e l’aspirazione a forme costruite secondo i dettami rinascimentali appresi in Italia.
Nel Cavaliere, la morte e il diavolo l’immagine del cavallo evidenzia lo studio di monumenti equestri realizzati da Leonardo. Intorno al cavallo, ritratto in maniera scultorea, si trova una vivace vita pulsante e irrazionale, animata da un segno più energico e libero.
Nell’incisione della Melanconia e nel San Girolamo, si ritrova invece un’applicazione di calcoli formali che hanno portato alla realizzazione delle opere. San Girolamo si trova in un punto definito attraverso un sistema di linee di fuga convergenti, ma allo stesso tempo è un bellissimo esempio di rappresentazione delle luci e della loro sfumatura, tipica del senso di immediatezza tedesco.
La mostra allestita a Bagnacavallo, però, parte dalla Madonna del Patrocinio del 1495/1497, tornata in questa sede dopo svariati anni.
Il tema della Madonna col Bambino, o in generale quello della Sacra Famiglia, è ricorrente nelle opere di Albrecht Dürer, non solo nelle sue xilografie e nei suoi bulini. Ovviamente il maggior numero di produzioni dell’artista sono proprio in queste tecniche e così, negli anni, ha continuato a ritrarre questi soggetti con un senso di intimità dove include comunque gli elementi che hanno caratterizzato la sua produzione: un’attenzione spasmodica al dettaglio, un fascino per le forme rinascimentali, composizioni piramidali e un utilizzo sapiente delle linee e degli strumenti.
La storia della Madonna del Patrocinio è piuttosto turbolenta: il suo riconoscimento come opera di Albrecht Dürer avviene nel 1961 da parte del critico Roberto Longhi, che visiona il dipinto conservato all’interno del monastero delle suore di clausura delle Clarisse Cappuccine dell’Immacolata di Bagnacavallo. Il dipinto veniva venerato come immagine miracolosa sotto il nome di Beata Vergine del Patrocinio e questo riconoscimento diede un vero e proprio scossone al monastero. Tutti i giornali parlarono di questo tesoro conservato a Bagnacavallo e la suora di clausura che reggeva il monastero venne addirittura intervistata dalla RAI. Il convento, che doveva essere di clausura, venne invaso da richieste di visione del dipinto causando un generale trambusto.
La soluzione divenne quella di vendere l’opera, anche per poter sanare il monastero fatiscente e insalubre in cui vivevano. In realtà i fondi vennero poi utilizzati per costruire un nuovo monastero a Brescia, dove tutt’ora si trova l’ordine religioso. L’opera venne venduta nel 1969 al collezionista Luigi Magnani, senza che vi fu mai un’esposizione pubblica all’interno del monastero. Magnani inserì il dipinto all’interno della Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo, nata per rendere pubblica la sua amata collezione.
Ad oltre cinquant’anni di distanza la Madonna del Patrocinio, anche nota come Madonna di Bagnacavallo, torna in questo monastero trasformato in Museo Civico delle Cappuccine e viene finalmente esposta al pubblico.
Nella Madonna del Patrocinio si ritrovano elementi di influenza tardogotica tedesca, come la cuffia della Madonna bipartita e con una piega centrale che copre quasi tutta la fronte ed elementi tipici italiani, come le spalle strette o mancanti e la chioma a fili di rame brillanti o un’asimmetria tipica del gusto rinascimentale.
Nella Madonna del Patrocinio si trovano inoltre molti riferimenti a modelli italiani di fine quattrocento, che rivelano le esperienze accumulate in italia dall’artista. Ad esempio l’impianto compositivo equilibrato e piramidale, che richiama le Madonne sedute del Mantegna che spesso emergevano da un basso parapetto. Altro dettaglio è il risvolto all’indietro del manto scuro che inquadra il viso della Vergine.
I maggiori dettagli rinascimentali sono riscontrabili però nella figura di Gesù, nel corpo vivo e ben modulato e nei colori pallidi della pelle, tipici dei dipinti leonardeschi.
Dal 21 settembre 2019 al 19 gennaio 2020 all’interno del museo civico della Cappuccine di Bagnacavallo è allestita la mostra “il privilegio dell’inquietudine“, con oltre 120 opere di Albrecht Dürer recuperate in prestigiose collezioni sia pubbliche che private. Questa mostra continua il filone di esposizioni all’interno di questo luogo storico sugli artisti che si sono espressi tramite incisioni.
In occasione della mostra, dal 14 dicembre 2019 al 7 febbraio 2020, all’interno del museo civico delle Cappuccine fa ritorno anche il dipinto la Madonna del Patrocinio, unica opera pittorica della mostra che viene esposta per la prima volta all’interno del luogo che l’ha custodita fino al 1969.
L’ingresso alla mostra è gratuito e lo spazio rimane aperto tutti i giorni, ad esclusione dei lunedì e dei giorni post festivi.