Visitare una mostra di Cerith Wyn Evans significa rimanere a bocca aperta davanti a installazioni luminose dalle dimensioni estremamente generose e dalle forme più disparate. Non fa eccezione la mostra …the Illuminating Gas allestita ad Hangar Bicocca che richiama tantissime persone, tanto che nei momenti di picco delle visite sarà necessario attendere in fila per entrare.
Cerith Wyn Evans è un artista nato nel 1958 in Galles e tuttora vive e lavora nel Regno Unito, tra Londra e Norwich. Studiò a Londra al Central Saint Martins fondato dall’artista John Stezaker e dal teorico e filmmaker Peter Gidal, per poi diplomarsi al Royal College of Art nel 1984.
Nel suo percorso artistico si appassiona inizialmente alle avanguardie del cinema indipendente, in cui presenta i suoi primi lavori fuori dai contesti istituzionali e con un approccio antinarrativo. Le proiezioni dei suoi lavori si configurano all’interno dell’expanded cinema, dove vengono attivati diversi sensi degli spettatori, rendendo di fatto la singola esperienza irripetibile. La ricerca di Cerith Wyn Evans non si basava sul raccontare una storia, ma più sull’osservazione delle immagini, come da lui stesso raccontato.
È negli anni ’90 che abbandona la produzione video e si avvicina alla produzione di sculture e installazioni site-specific, legate comunque ai temi del linguaggio e della percezione, integrando nei suoi lavori elementi quali luce e suono. La sua prima mostra personale arriva nel 1996, all’interno della galleria White Cube di Londra. Qui presenta Inverse, Reverse, Perverse: un grande specchio concavo che attraverso la distorsione dell’immagine restituisce una serie di istantanee degli spettatori a seconda della posizione che occupano. Nella stessa occasione espone anche TIX3, del 1994, dove la scritta EXIT tipica dei luoghi pubblici viene riproposta invertita, ma sempre in neon verde. Si tratta di un modo per indagare sui limiti della percezione visiva. La stessa opera dovrebbe essere in mostra anche ad Hangar Bicocca, ma durante la nostra visita non è presente.
La ricerca di Cerith Wyn Evans continua attraverso l’impiego di materiali eterogenei, come specchi, neon, piante, fuochi d’artificio, proiettori e strobosfere, ponendo l’attenzione sul potere evocativo dell’arte e sulla sua capacità di creare collegamenti tra il visibile e il non visibile. Ciò trasforma i lavori dell’artista in un costante processo di traduzione e trasposizione di linguaggi differenti. Nelle opere ci sono spesso influenze derivanti da altre arti, con citazioni e riferimenti alla cultura del XX e XXI secolo e a medium quali la fotografia, la musica, la filosofia e tante altre arti che comportano una stratificazione dei significati e la possibilità di generare molteplici scenari e interpretazioni da parte degli spettatori.
Dagli anni 2000 le sue opere sono quasi esclusivamente incentrate sulla produzione di opere scultoree in grande formato in cui combina luce, movimento e suono. Come lui stesso dichiara: “C’è una sorta di propagazione verso l’esterno, una specie di effetto sonoro su diverse scale. I miei lavori sono strettamente correlati al concetto di hic et nunc (qui e ora) in relazione alla scala. Questa si manifesta secondo varie modalità che non sono solo connesse a massa, peso e volume, ma anche alle complesse leggi che il mondo fisico ci impone.”.
La mostra …the Illuminating Gas allestita ad Hangar Bicocca è la più grande esposizione mai realizzata dall’artista e contiene in se molti elementi cari a Cerith Wyn Evans: la luce, il suono, il movimento e il tempo si percepiscono camminando nei grandi spazi dell’Hangar, che si illumina attraverso installazioni dalle forme sinuose e dinamiche.
Gli interni sono trasformati in una sorta di paesaggio luminoso e sonoro, in cui le opere si sviluppano in maniera coreografica a ritmi differenti resi anche attraverso l’aspetto visivo.
Il titolo di …the Illuminating Gas si rifà all’elemento principe dell’intera esposizione: il gas che alimenta i neon diventando incandescente quando attraversato dall’energia elettrica. Si tratta inoltre di un omaggio a Marcel Duchamp, che più di una volta ha ispirato Cerith Wyn Evans. Il riferimento è all’opera Étant donnés: 1° la chute d’eau, 2° le gaz d’éclairage… che l’artista francese realizzò in segreto durante vent’anni e che venne resa nota al pubblico solo dopo la sua scomparsa.
Nonostante formalmente si tratti di 12 opere esposte in …the Illuminating Gas, in realtà i pezzi che si possono vedere in mostra sono molto più numerosi, perché riferiti a una stessa opera. Appena entrati si verrà sorpresi dalle colonne luminose di StarStarStar/Steer (totransversephoton). L’intero lato sinistro dell’Hangar Bicocca è poi riempito con i pezzi di Neon Forms (after Noh) che affiancano quelli di Forms in Space… by Light (in Time).
Molto suggestivo (e interattivo) è anche la parte finale di questa mostra, ospitata dentro al Cubo dell’Hangar. Qui le opere sono piuttosto eterogenee e noi visitatori possiamo entrarvi letteralmente all’interno e farci coinvolgere dalle idee di Cerith Wyn Evans.
Appena scostate le tende che ci portano all’interno della mostra …the Illuminating Gas ci troviamo davanti a sette alte colonne luminose che pendono dal soffitto dell’Hangar e che arrivano a pochissimi centimetri da terra. Le loro altezze sono impressionanti, così come il colpo d’occhio che riservano a chi entra.
Quest’opera è stata realizzata da Cerith Wyn Evans appositamente per questa location. StarStarStar/Steer (totransversephoton) non si illumina tutta all’unisono, ma ogni colonna segue la partitura generale che le fa spegnere e illuminare in maniera progressiva: da una luce flebile fino ad una luce potente che attira l’attenzione anche mentre si stanno visitando le altre opere.
Quando la luce non è al massimo, avvicinandosi a una delle sette colonne, si può chiaramente vedere come questa è costruita: una serie di strisce led corre dal basso verso l’alto, con i singoli elementi collegati da cavi e trasmettitori. L’utilizzo di elementi LED mostra anche un’evoluzione dell’opera stessa e mette in evidenza come la società produca oggetti obsoleti: versioni precedenti di questa opera impiegavano infatti lampadine a luce incandescente.
Le colonne di StarStarStar/Steer (totransversephoton) sono una contraddizione: nonostante il loro aspetto richiami quello delle architetture classiche, in realtà esse sono sospese al soffitto e quindi non sostengono alcun elemento architettonico, al contrario della funzione intrinseca delle colonne.
Il nome scelto per l’opera richiama una stampa di Ian Hamilton Finlay in cui la parola stella viene declinata e forma un segno grafico che si chiude con il verbo Steer. Totransversephoton invece allude ad elementi di fisica quantistica.
Una delle opere che forse, più delle altre, passa in sordina nella mostra è Composition for 37 Flutes (in two parts). Il motivo è che mentre la maggior parte di queste sprigionano una forte luce, questa non si illumina.
Si tratta infatti di una scultura totalmente trasparente, composta da due coppie di tubi circolari concentrici da cui si irradiano 37 flauti di vetro alimentati meccanicamente da due sistemi che incamerano l’aria e la spingono attraverso i tubi ad intervalli regolari.
Il ritmo ottenuto è quello della respirazione umana, intervallata a momenti di veloce espirazione e inspirazione.
Quest’opera venne originariamente progettata per il museo Hepworth Wakefield, nel quale l’edificio è vicino a un fiume sul cui un sistema di chiuse regola il passaggio dell’acqua e alimenta un piccolo impianto per la generazione di energia elettrica. In quel contesto i polmoni artificiali che fanno suonare i flauti erano alimentati direttamente dall’energia ricavata dal fiume.
Subito dietro a Composition for 37 Flutes (in two parts) si trova Radiant Fold (…the Illuminating Gas), una grande scultura luminosa che richiama la forma di pianeti, sovvertendo però le coordinate spazio-temporali.
Quest’opera è un richiamo a due lavori di Marcel Duchamp:
Tutto il lungo lato sinistro della mostra …the Illuminating Gas è occupato dalle opere di Neon Forms (after Noh). Si tratta di 13 pezzi concepiti tra il 2015 e il 2019 che formano un variegato insieme di tubi al neon attorcigliati che pendono dal soffitto.
La profusione di luce che creano e le forme particolari non sono casuali come potrebbe sembrare a una prima occhiata, ma, anzi, si rifanno al Noh, una forma di teatro giapponese nel quale gli attori mettono in scena un repertorio codificato di gesti che formano una coreografia sintetizzata attraverso schemi di movimento, conosciuti come “diagrammi dei kata“.
Questi sono schemi che rappresentano in maniera grafica un movimento e Cerith Wyn Evans li ripropone nelle sue opere d’arte luminose. Ognuno di questi ha un significato, come un passo, la rotazione della testa, la posizione a ventaglio e tante altre.
L’artista è molto affascinato dalla cultura giapponese e spesso ne attinge per riproporla nelle sue opere.
Un’altra buona parte della mostra è invece occupata dalle opere di Forms in Space… by Light (in Time) che in un’occasione si fondono addirittura con alcuni pezzi di Neon Forms (after Noh) creando una nuova opera.
In queste opere si susseguono metri e metri di tubi di neon dalle forme rette e curve che si alternano tra loro e danno vita ad altre forme alle volte astratte, alle volte che richiamano elementi concreti. L’opera Forms in Space… by Light (in Time) venne creata originariamente per la Tate Britain di Londra nel 2017 ed è stata riconfigurata per gli spazi di Hangar Bicocca.
Si compone di tre parti più una successiva che si fonde con quella Neon Forms (after Noh). La prima parte rappresenta una traslazione delle forme già presenti in Radiant Fold (…the Illuminating Gas), la seconda prende invece ispirazione dai movimenti giapponesi impiegati nel Teatro Noh, mentre la terza di dimensioni piuttosto notevoli è stata integrata con un ultimo elemento noto come “coda”, a sua volta integrato agli elementi di Neon Forms (after Noh). Questa parte è piuttosto ampia e lunga e al suo interno si può scorgere una parte della formula della struttura della molecola dell’LSD.
Il nome dell’opera spiega in parte l’opera stessa: forme che impiegano la luce nello spazio attraverso il tempo, dando di fatto una serie innumerevole di significati possibili a queste opere e che sottolinea il fatto che il punto di vista dell’artista non è l’unico possibile. Tra gli scopi di Cerith Wyn Evans c’è quello di creare uno spazio in cui il singolo può per un momento abbandonarsi e entrare in contatto con l’energia, la stessa che ogni giorno attraversa la nostra Terra e con cui conviviamo spesso inconsapevolmente.
Con C=O=N=S=T=E=L=L=A=T=I=O=N (I call your image to mind) entriamo ufficialmente nel Cubo di Hangar Bicocca e scopriamo anche la parte interattiva della mostra …the Illuminating Gas.
L’opera è fluttuante, sospesa a mezza altezza e noi visitatori possiamo immergerci totalmente in questa. Davanti a noi 16 dischi riflettenti si muovono ininterrottamente su loro stessi e attorno a uno stesso asse. Posizionandoci davanti ad uno di questi dischi è possibile percepire un suono emesso dal disco stesso e che può raggiungere un solo visitatore per volta, attraverso un sorprendente gioco di rifrazioni, sovrapposizioni e occlusioni. Le melodie proposte sono un mix di brani registrati da Cerith Wyn Evans stesso e altri dei Throbbing Gristle.
Ci ritroviamo davanti a una costellazione di frequenze e suoni che siamo liberi di scegliere e seguire, anche solo per qualche secondo, prima di passare a un’altra melodia emessa dal disco successivo. Si viene quindi a creare un rapporto esclusivo e personale con l’opera capace di attrarre il singolo spettatore.
Il nome di quest’installazione prevede la separazione di ogni singola lettera attraverso il simbolo =, che in fonetica non rappresenta alcun suono, ma che l’artista utilizza per creare delle sospensioni e delle distorsioni linguistiche nella pronuncia delle sue opere d’arte.
Il pezzo centrale del Cubo di Hangar Bicocca è senza dubbio E=C=L=I=P=S=E, sia per la sua posizione in mezzo alla stanza, sia per la sue dimensioni.
Questa è probabilmente l’opera che, più di tutte, rappresenta il concetto di movimento all’interno di tutta la mostra. Un lungo testo scritto in orizzontale attraverso un tubo di Neon descrive dettagliatamente il fenomeno di un eclissi visto da differenti aree geografiche, che vanno dalla parte settentrionale della Spagna e scendono fino alla Somalia. Il concetto di movimento è dato sia dal fenomeno stesso descritto, quello in cui la luna si muove davanti al sole, sia dallo spostamento geografico che viene raccontato seguendo il punto di vista dello stesso fenomeno in giro per diverse aree del mondo.
La scelta del formato orizzontale per la realizzazione di E=C=L=I=P=S=E richiama alla mente le proporzioni della pittura di paesaggio. Nell’opera c’è inoltre un aspetto che rende riconoscibile il lavoro di Cerith Wyn Evans: le parole utilizzate mescolano uno stile poetico a termini scientifici.
Mantra e S=U=T=R=A sono due opere differenti, ospitate entrambe all’interno del Cubo dell’Hangar Bicocca e facenti entrambe parte della serie Chandeliers. Questi due pezzi vengono solitamente accorpati perché hanno elementi molto simili tra loro che li mettono in comunicazione. Entrambi sono infatti composti da una coppia di grossi lampadari che si illuminano con frequenze variabili, seguendo uno spartito muto che detta l’accensione delle singole illuminazioni. Anche se impercettibilmente gli elementi della coppia hanno dimensioni differenti tra di loro e uno dei due si accende per primo, determinando poi l’accensione del secondo. Per rendere lo spettacolo unico di volta in volta è presente un leggero fuori sincrono che genera una composizione luminosa differente. Lo scambio tra i due lampadari simboleggia la dialettica tra soggettività e macchina.
Tutti e quattro i lampadari sono sospesi, anche se i due di Mantra sono notevolmente più in alto di quelli di S=U=T=R=A, attorno ai quali si può camminare. Si tratta di grandi elementi, alti circa due metri e prodotti in vetro di Murano, su di un progetto di Galliano Ferro, una storica vetreria di Venezia.
Mantra appare più elaborato, i due lampadari sono infatti ricchi di decorazioni floreali, mentre quelli di S=U=T=R=A hanno uno stile più lineare e vennero inizialmente concepiti per una moschea iraniana
L’ultima opera presente dentro al Cubo è Still life (in course of arrangement…), estremamente differente rispetto a tutte le altre qui esposte. Per la prima volta vengono infatti inseriti in scena degli elementi viventi, ovvero gli alberi posizionati all’interno di grandi vasi che girano, estremamente lentamente, su loro stessi e che sono colpiti da due intensi fasci di luce uguali a quelli utilizzati nei cinema.
Sembra quindi di assistere a un film che si svolge in tempo reale. Il lento movimento dei vasi, unito alle ombre proiettate sulla parete, evocano la sensazione del sogno che il cinema sa regalare.
L’ultima opera, tra quelle presenti nella mostra di Cerith Wyn Evans passa piuttosto inosservata, disposta in un angolo della sala principale dell’Hangar Bicocca e non dotata di alcuna illuminazione.
Si tratta di T=R=A=N=S=F=E=R=E=N=C=E (Frequency shifting paradigms in streaming audio) ed è composta da un unico pezzo posizionato sul pavimento e collegato ad un’alimentazione elettrica che gli permette di diffondere una colonna verticale di suono, percepibile solo avvicinandosi all’opera stessa e tendendo l’orecchio. Le frequenze emesse sono estratti di registrazioni effettuati da radiotelescopi che restituiscono suoni provenienti da pianeti lontani.
La colonna di suono di T=R=A=N=S=F=E=R=E=N=C=E (Frequency shifting paradigms in streaming audio) richiama le colonne viste all’inizio della mostra …the Illuminating Gas, nell’opera StarStarStar/Steer (totransversephoton), creando quasi un percorso ad anello all’interno dell’esposizione delle opere di Cerith Wyn Evans.
La mostra …the Illuminating Gas ad Hangar Bicocca è aperta dal 31 ottobre 2019 al 23 febbraio 2020 e segue i seguenti orari: da giovedì a domenica dalle 10.00 alle 22.00.
L’ingresso alla mostra è gratuito e all’interno dell’esposizione sono presenti dei mediatori culturali che spiegano dettagliatamente le opere e la poetica di Cerith Wyn Evans.
A causa del grosso richiamo di pubblico di questa mostra, è possibile che sia richiesto di attendere qualche minuto di attesa prima di entrare.