Mauthausen – Visita al Campo di Concentramento Austriaco

Baracca della Cucina e baracca della lavenderia tra il muro di contenimento del campo di concentramento

Non è la prima volta che visito i resti di un campo di concentramento, ma è la prima volta che il tempo atmosferico si adegua alla destinazione che sto andando a visitare: il campo di concentramento di Mauthausen.

Partiamo poco dopo l’ora di pranzo dall’abbazia di Melk, con il sole che brilla alto nel cielo. Il tempo rimane piuttosto sereno per tutto il viaggio di circa 90 chilometri, che procede in direzione ovest lungo il corso del fiume Danubio. Solo nella parte finale, superato il centro storico di Mauthausen, d’improvviso ci accolgono tantissime nuvole che rendono l’atmosfera cupa e si alza un forte vento che rende quasi difficoltoso chiudere gli sportelli dell’automobile. Appena arrivati al campo comincia a scendere anche una fitta pioggia leggera, che ci bagna continuamente, ma rinunciamo a tenere aperti gli ombrelli tanto è il vento. Un’atmosfera del genere rende ancora più toccante la visita al memoriale costruito all’interno del Lager di Mauthausen.

Come Nasce Mauthausen ^

Mauthausen, prima di diventare la triste meta per migliaia di deportati, era una cittadina nel centro dell’Austria molto apprezzata a livello turistico. Il grande lago che si estende ai piedi della città era una delle attrazioni principali ed esistono anche cartoline che pubblicizzano Mauthausen come meta ideale per le vacanze.

Tutto questo però termina con la seconda guerra mondiale, da quel momento infatti il nome della città viene associato solamente ai fatti terribili che si sono consumati sulla prime colline sopra il luogo di villeggiatura e il turismo non tornerà mai più fervido come una volta.

La città di Mauthausen venne scelta come base per il campo di concentramento a causa della presenza di una grande miniera di granito (Wiener Graben), dalla quale veniva estratto il materiale necessario per pavimentare le vie di Vienna. Unitamente alla miniera, la posizione defilata rispetto al centro abitato faceva di questo luogo il luogo migliore per poter attuare questa (inizialmente) silenziosa atrocità.

Tutto comincia nel 1938, quando l’Austria venne annessa al Reich: i lavori per preparare il campo cominciarono di gran fretta, con persone che lavoravano giorno e notte. In appena cinque mesi, infatti arrivarono i primi deportati direttamente dal campo di Dachau. Il Lager non era ancora pronto per tutte le persone che sarebbero state internate qui, quindi i primi prigionieri vennero impiegati per aumentarne le dimensioni e terminare di costruire le strutture e le baracche.

Per circa 5 anni, fino al 1943, qui vennero internati principalmente gli oppositori politici e ideologici e per un periodo questo campo, insieme al vicino Gusen, fu l’unico ad essere considerato di categoria III, ovvero per “detenuti difficili da recuperare”. In altre parole, le condizioni all’interno di Mauthausen erano inumane, tante erano dure: le persone venivano fatte lavorare a condizioni tali che le avrebbero portati alla morte. Inutile dire che il sostentamento era totalmente insufficiente, di conseguenza il tasso di mortalità era tra i più alti di tutti i Lager nazisti.

I deportati cominciarono ad arrivare in numero sempre maggiore, tanto che tra il 1942 e il 1943 ci fu la necessità di creare parecchi campi satellite (oggi andati quasi tutti perduti). Basti considerare che nel 1942 i detenuti di Mauthausen e dei campi vicini (circa 40) erano circa 14.000, mentre nel 1945 se ne contarono circa 84.000. I prigionieri del campo arrivavano a Mauthausen in treno, nella stazione cittadina, ed erano costretti a marciare a piedi fino al campo per circa 4 km, tra le angherie delle guardie che li facevano salire velocemente per la collina.

Le nazionalità degli internati erano le più disparate, come si può evincere dalle sculture presenti nel parco dei monumenti, anche se la maggior parte era composta da polacchi, sovietici ed ungheresi. Quando verso la fine della seconda guerra mondiale cominciarono a chiudere diversi campi di concentramento, il flusso di persone verso Mauthausen crebbe enormemente, causando sovraffollamento e innalzando ulteriormente il tasso di mortalità. Si può considerare in 190.000 il numero delle persone che sono transitate per questo Lager.

Rispetto a molti altri campi di concentramento, quello di Mauthausen, ha conservato molti elementi originari. Bisogna considerare che dopo la seconda guerra mondiale, la tendenza fu quella di nascondere le prove di questi fatti terribili e quindi di distruggere quello che rimaneva dei lager. Mauthausen dopo la liberazione da parte degli americani passò alle truppe sovietiche, che crearono qui un accampamento per i propri soldati. Nel 1947 i sovietici abbandonarono il campo e lo passarono alla repubblica austriaca, con la promessa che vi ci si sarebbe costruito un memoriale.

Visita all’interno del Campo di Concentramento di Mauthausen ^

Arrivare al campo di concentramento di Mauthausen non è semplicissimo se non ci si aiuta con un navigatore satellitare. Quello che abbiamo notato è che oltre l’insegne per la città, non si trova molto di più. Scarseggia infatti la segnaletica che guida fino alla sede del memoriale.

Probabilmente la cittadina sul fiume Danubio è ancora alla ricerca di un riscatto che tarda ad arrivare e ricorda mal volentieri il suo passato. Dalle sponde del fiume è necessario prendere una strada che si arrampica su per la collina che domina la città e, quando si sarà nei pressi del lager, lo si capirà dalla grossa struttura protetta da alti muri con filo spinato. Dalla parte opposta della strada è disponibile un parcheggio in cui lasciare l’automobile.

Mauthausen Orari di Visita e Costi ^

Attraversando la strada e salendo l’ultimo tratto della collina, ci si trova davanti al campo. Il clima ci mette già i brividi.. Proseguiamo fino alla biglietteria, dove due ragazzi ci accolgono e ci spiegano che siamo arrivati tardi per ricevere l’audio guida. Per poterla avere è consigliabile arrivare almeno due ore abbondanti prima degli orari di chiusura,  che però è complicato trovare pubblicati.

Gli attuali orari di apertura sono:

  • dal 1 Marzo al 31 Ottobre, aperto tutti i giorni dalle 9.00 alle 17.30, con ultimo ingresso alle 16.45;
  • dal 1 Novembre all’ultimo giorno di Febbraio, aperto dal martedì alla domenica dalle 9.00 alle 15.45, con ultimo ingresso alle 15.00. Chiuso il lunedì;
  • giorni di chiusura: 24/25/26 dicembre, 31 dicembre e 1 gennaio.

Noi abbiamo trovato gli orari di apertura solo dopo la visita a questo indirizzo, del sito ufficialeLa durata della visita con l’audioguida è di circa 120 minuti, ma in realtà richiederà più tempo se si vuole guadare attentamente l’interessante museo interno.

L’ingresso è sempre gratuito, mentre è necessario versare un piccolo contributo di 3€ per l’audioguida. In biglietteria ci dicono che non possiamo ritirare l’audioguida per via dell’orario, ma che è disponibile un’APP per smartphone che riporta i testi e gli audio anche in lingua italiana. Provvediamo a scaricarla, si chiama Mauthausen Audioguide ed è gratuita, e cominciamo la visita all’interno del campo.

Volendo è possibile acquistare anche visite guidate, al costo di €5 a persona. In questo caso, a seconda dei periodi, il numero delle visite giornaliere può essere limitato o essere solo in alcune lingue. Tutte le informazioni sulle visite guidate e altre tipologie di biglietti acquistabili sono disponibili sul sito ufficiale.

Portone di Ingresso al Campo ^

Prima di accedere al lager di Mauthausen ci avviciniamo al suo portone di ingresso, passando per l’area che una volta ospitava diverse baracche delle SS. Queste, al di fuori dei campi, venivano utilizzate per amministrare il campo e come laboratori o alloggi per le SS.
Al fianco di queste baracche, non più presenti, si trova ancora una vasca scavata nel terreno, conosciuta come “stagno”. Questa vasca veniva utilizzata per spegnere i fuochi e venne creata nell’estate del 1944. Conoscendone la storia, tutto quello che vediamo ci fa pensare a possibili e tragici doppi fini ma in questo caso sembra non ce ne fossero.

Guardando giù dalla collina, verso dopo abbiamo lasciato l’auto, si può vedere il terreno che veniva impiegato come campo sportivo dalle SS. L’esercito americano vi creò un cimitero per i prigionieri deceduti nei giorni subito successivi alla liberazione del Lager. I corpi rimasero qui fino agli anni ’50, quando vennero riesumati per essere spediti ai paesi di origine o trasferiti nel cimitero all’interno del Lager.

Subito sotto si trovava il “campo dei russi”, conosciuto anche come “campo sanitario”. Venne costruito per inserirvici i prigionieri di guerra sovietici, ma quando venne completato (nel 1943), la maggior parte di questi detenuti era già morto. Venne quindi impiegato per isolarvi i malati, lasciandoli morire lontani dai compagni di sventura.

Guardando in direzione del campo di lavoro, vediamo da una parte le alte mura chiuse dal filo spinato. Questo muro fu aggiunto solo in un secondo tempo: quando arrivarono i primi deportati, infatti, erano presenti solo alcune baracche e una recinzione elettrificata per scoraggiare eventuali fughe. Davanti a noi c’è il grande portone di ingresso, a cui lati si trovano due torri di vedetta e sul quale risiedeva lo stemma dell’aquila imperiale, simbolo del dominio e terrore nazista. Ovviamente su questo portone era riportato anche il simbolo della svastica. L’ingresso tramite questo portone non ci porta ancora nell’area adibita ai prigionieri.

Garagenhof – Cortile di autorimessa per le SS e Edificio del Comando del Lager ^

Varcando il portone di ingresso al campo, si accede al Garagenhof, il cortile di autorimessa per le SS, esterno ma al fianco al campo dei prigionieri. Questa lunga area sgombra veniva impiegati per diversi scopi: da raduni celebrativi, fino alla concentrazione di tutti i prigionieri per procedere alla loro disinfestazione: avere carcerati malati avrebbe prodotto meno forza lavoro e  altri detenuti si sarebbero potuti contagiare.
Si trovava qui l’accesso ad una stanza adibita a obitorio dei prigionieri, nel periodo iniziale della messa in funzione del campo di lavoro.

In fondo al Garagenhof, si trova l’edificio del comando del Lager, sul quale è possibile salire attraverso una scalinata che conduce fin sopra al muro del confine. Quando ci saliamo il forte vento e la pioggia rendono la permanenza quasi impossibile.
Inizialmente questo edificio era costruito in legno, ma tra il 1943 e il 1944 venne ricostruito in pietra e ospitava al suo interno gli uffici del comandante del campo e i vari dipartimento dello stato maggiore del comando.

Schutzhaftlager – Campo per prigionieri di Mauthausen ^

Dall’edificio del comando si raggiunge il secondo portone, quello che dava accesso al Schutzhaftlager, ovvero la parte del campo all’interno della quale venivano rinchiusi i prigionieri. Questo è il portone che sanciva la fine della vita da umano delle persone che l’avrebbero varcato: tanto degli internati quanto delle SS, che credo perdessero di vista ogni contatto con la realtà per riuscire a commettere quello che la storia ha documentato.

Anche questo portone era sormontato da due torri di vedetta, in quanto unico accesso a questa sezione del campo di concentramento. Dalle torri le SS potevano monitorare tutto quello che succedeva all’interno e all’esterno del campo di concentramento e lavoro.

Qui si trova un piccolo ufficio informazioni e, una volta varcata la porta, notiamo di essere tra i pochissimi visitatori del Lager: il grande spiazzo interno è infatti praticamente deserto.

Piazzale dell’Appello ^

Appena varcata la soglia ci si ritrova davanti il lungo piazzale dell’appello, con ai fianchi le baracche che sono arrivate fino ai giorni nostri. In questo piazzale i prigionieri venivano contati ogni giorno. Inizialmente l’appello avveniva 3 volte al giorno, poi per sveltire anche questo procedimento, si passò a due volte al giorno a partire dal 1943.

Circa a metà della lunghezza si trova un grosso blocco di cemento, con pezzi di pietra intorno. Rappresenta il monumento dell’Austria alle vittime di questo campo di concentramento.

Alcune baracche sono rimaste al loro posto, come la baracca 1 nella quale si trovava l’area di gestione dei Kapò. Ci avviciniamo per vederne la fattura: le assi verdi che compongono la struttura, rovinate dal tempo sorreggono le grandi finestre. Da queste è possibile sbirciare all’interno e vedere i grandi stanzoni vuoti, una volta ‘arredati’ con scrivanie e letti a castello.

Muro del Pianto ^

Muro del Pianto e Luogo Commemorativo del muro

Il muro che si sviluppa al fianco del portone di ingresso, è conosciuto anche come il “muro del pianto“. Davanti a questo muro i deportati dovevano mettersi in fila e attendere, spesso anche svariate ore, per essere registrati e privati dell’ultima dignità che gli apparteneva. Tolti i vestiti e tutti gli averi le persone venivano portati fino ai sotterranei della baracca della lavanderia. Qui venivano rasati velocemente in tutto il corpo, senza alcuna schiuma da barba o delicatezza.

Baracca della Lavanderia: Docce e Impianto di Riscaldamento ^

Dopo essere stati completamente rasati, sempre nei sotterranei della baracca della lavanderia, gli internati venivano spinti nella stanza seguente, quella delle docce. Qui i deportati erano obbligati a lavarsi velocemente, per poi uscire e trovare dei cumuli di camice e mutande: veniva assegnata loro la divisa che avrebbero utilizzato all’interno del campo di concentramento di Mauthausen.

Al fianco di queste stanze si trova un grande forno che comunica tra due stanze. Si tratta dell’impianto di riscaldamento dell’intero campo. Conoscendo la storia del Lager è facile confondere le docce con le camere a gas e l’impianto di riscaldamento con il forno crematorio, ma non era questa la sezione dove venivano perpetrate queste brutalità.

Una grande croce in legno malmessa è posta a ricordo dell’angherie che essere umani hanno dovuto subire proprio in questo luogo.

Sala Secolare delle Cerimonie e Cappella del Campo ^

Al piano terra della baracca della lavanderia si trovano due grandi sale con due funzioni ben distinte: da una parte la cappella aperta solo nel 1949, dopo la liberazione del campo e quando questo venne convertito in un memoriale alle vittime del campo e alla Shoah. Dall’altra una sala dedicata alle cerimonie, anche questa postuma rispetto alla chiusura del lager.

Baracca della cucina ^

Baracca della Cucina e baracca della lavenderia tra il muro di contenimento del campo di concentramento

La baracca successiva a quella della lavanderia è quella della cucina, non visitabile internamente. In questa baracca veniva preparato il cibo per tutti i prigionieri del campo. Nel periodo ‘migliore’, quello iniziale, si stima che il cibo (spesso avariato) contenesse al massimo 1500 calorie, nonostante i prigionieri lavorassero tutta la giornata. Nei suoi sotterranei venivano custodite tutte le provviste di cibo.

In cucina venivano impiegati una parte dei deportati, che si occupavano di cucinare anche per le SS, che ovviamente avevano tutt’altro tipo di razioni rispetto ai prigionieri.

Nei mesi precedenti la liberazione del campo, è stato documentato che il cibo non fosse sufficiente per tutti i detenuti, tanto che ci furono delle morti di massa riconducibili proprio alla fame. Questa crudele abitudine fu inserita dalle SS per far scontrare tra loro i deportati al fine di ottenere del cibo in più. Solo i prigionieri funzionari, come i Kapò, riuscivano ad avere qualche razione di cibo in più.

Bunker – Il carcere del Lager di Mauthausen ^

All’interno del Lager di Mauthausen era presente persino un carcere, chiamato bunker. Se possibile, in questo luogo, la permanenza era ancora peggiore che nel resto della struttura. All’interno di questa baracca sono presenti 33 celle, la cui costruzione venne terminata nel 1940. Chi veniva rinchiuso all’interno del bunker trascorreva i giorni al buio e senza cibo. Anche il bunker veniva utilizzato in maniera ingiusta e arbitraria da parte delle SS: i deportati venivano portati in cella per aver infranto regole che spesso nemmeno conoscevano e, a volta, contraddittorie tra loro.

Il bunker serviva anche ad accogliere quei prigionieri che venivano portati a Mauhtahusen per essere giustiziati. Qui, dopo gravi maltrattamenti da parte delle SS e della Gestapo, venivano condotti nelle camera a gas e nelle sale di torture. Altri venivano direttamente fucilati nel cortile antistante il bunker, chiuso dalla parte opposta dall’alto muro sormontato dal filo spinato.
Non a caso le camera a gas e i forni crematori si trovano nei sotterranei che collegano la baracca dall’infermeria a quella del bunker.

All’interno della cella per i prigionieri non vi era nulla, se non un secchio per i bisogni fisiologici. Attualmente la baracca è visitabile solo nell’ingresso, mentre l’area delle celle è delimitata da un cancello chiuso e non oltrepassabile.

Museo di Mauthausen nella Baracca dell’Infermeria ^

La baracca successiva a quella delle prigioni, è quella che ospitava originariamente l’infermeria. Chiamata Krankenrevier accoglieva solamente i prigionieri privilegiati che potevano avere alcune cure mediche. Inizialmente questa baracca era identica alle altre, quindi in legno. Solo nel 1944 venne trasformata in questo edificio in muratura costruito appositamente.
Si trattava di un piccolo ospedale, che prestava cure di primo soccorso. Non c’era nessun motivo nobile sotto però: la volontà delle SS era solamente quella di mantenere abili le capacità lavorative dei prigionieri più specializzati.
Le malattie che scoppiavano all’interno del campo erano dovute alle condizioni di lavoro inumane, con sforzi inimmaginabili, ma anche alle scarsissime condizioni igieniche. I malati non specializzati venivano utilizzati dai medici delle SS per sperimentare nuovi trattamenti e, qualora questi non si rivelassero funzionanti, venivano uccisi con uno dei metodi già visti.

Dal 1970, all’interno della Krankenrevier, è stato costruito un esauriente museo. Al piano terra, attraverso l’installazione “La storia del campo di Mauthausen, 1938-1945″ è possibile ripercorrere tutte le tappe dell’ascesa del nazismo e della creazione dei campi di concentramento, con un focus particolare su quello di Mauthausen. La narrazione è piuttosto esauriente, e sviluppata su di una linea temporale che rende facilmente comprensibile i concetti esposti.
Affiancati ai fatti storici si trovano, sotto teca, diversi pezzi originali risalenti a quando il campo di concentramento era in funzione. Tra questi una bicicletta utilizzata dalle SS per girare il campo, una divisa di un prigioniero, i braccialetti utilizzati per identificare i deportati e tanti altri oggetti che ci permettono di rivivere indirettamente quelle atrocità.

All’interno di questa installazione si potrebbe tranquillamente rimanere almeno un’ora, ma vista la tarda ora vogliamo completare la visita del Lager, perciò ci tratteniamo solamente una quarantina di minuti.

Sempre al piano terra della baracca dell’infermeria, è stata conservata una delle stanze originali, dotata addirittura di carta da parati. Ovviamente al suo interno non si trova più nulla dell’arredamento e delle attrezzature originali che venivano impiegate nella cura dei malati.

Proseguiamo la visita accedendo al sottosuolo dell’edificio.

Al piano interrato, nella prima parte del percorso, si trova un’altra installazione museale: “Mauthausen – Il luogo del delitto – alla ricerca delle tracce“. Qui si trovano una serie di installazioni che ricordano il campo e le persone che lo hanno tristemente popolato. Nella parte iniziale alcune grandissime foto vengono illuminate da dei lightbox che squarciano il buio della sala. Successivamente si passa ad una sezione dove sono raccolte le foto dei molti internati (ebrei, perseguitati politici, omosessuali, ..) che vissero e morirono all’interno del campo. Infine si giunge alla Sala dei Nomi, una grande sala buia dove un grande allestimento illumina i nomi di tutti gli internati che passarono dal campo di concentramento. Nonostante la vita degli internati all’interno dei Lager fosse disumanizzata e venisse tolta loro ogni identità, venivano compilati appositi registri in cui erano annotate le generalità di tutte le persone che entravano.
Al termine della seconda guerra mondiale, fu cercato di eliminare tutte le prove della deportazione e della Shoah, ma alcuni di questi registri vennero nascosti e arrivarono ai giorni nostri come prova storica.

Camere a Gas e Forni Crematori ^

La parte più dura della visita comincia proprio nei sotterranei dell’infermeria. Il percorso ci guida verso, e poi all’interno, dei luoghi più tragici dell’intero campo di concentramento di Mauthausen. In queste stanze migliaia di persone persero la vita per mano nazista: ci troviamo nel settore delle uccisioni e dei forni crematori.

Inizialmente i corpi degli internati venivano bruciati all’interno dei forni crematori delle città di Steyr e di Linz, ma questo comportava un notevole dispendio di tempo e mezzi. Inoltre la capacità di lavoro di questi forni non poteva essere sufficiente per quella richiesta dai campi. Per questo motivo, nel 1940, venne messo in funzione il primo forno crematorio direttamente all’interno del Lager. Il forno veniva utilizzato per eliminare i corpi, ma anche le tracce delle violenze che questi erano costretti a subire. I cadaveri dei deceduti venivano ammucchiati in questa zona del campo, e altri prigionieri venivano incaricati di cremare i corpi dei propri compagni uccisi. La zona non doveva essere sotto gli occhi di tutti e infatti venne identificato il sottosuolo di una baracca come luogo idoneo a svolgere questo compito.

Il forno del campo non era sufficiente ad eliminare la grande quantità di corpi degli internati, così nel 1942 venne aggiunto un secondo campo, seguito successivamente da un terzo nel 1945, poco prima della liberazione del campo.

Le morti che inizialmente avvenivano per stenti causati da malattie e condizioni inumane, non erano sufficienti per le SS, che volevano solo forza lavoro in grado di svolgere i lavori più duri. Inoltre le SS non volevano tra i piedi contestatori o chiunque potesse causare loro problemi attraverso una ribellione alle pessime condizioni cui era sottoposto. Per questo motivo nel 1941 furono adibite alcune stanze a sale di esecuzione: o tramite “colpo alla nuca” o tramite la forca. Adiacente a questi spazi si trova anche una stanza con un lettino in ferro, che veniva utilizzato per sezionare e svolgere autopsie sui corpi dei deceduti. Qui venivano svolti una parte degli esperimenti medici sugli internati.

Accesso al Forno Crematorio - Campo di Concentramento di Mauthausen

Al fianco di questa sala si trova la camera a gas, ovvero la stanza delle docce dove ebrei e altri prigionieri venivano fatti morire per asfissia, respirando il gas letale Zyklon B. La camera a gas fu attiva dalla primavera del 1942 fino al maggio del 1945 e trovarono la morte all’interno di questa stanza ben 3500 prigionieri. Attraverso questo nuovo strumento letale, i prigionieri potevano essere uccisi in massa. Venivano convogliati all’interno della stanza facendogli credere che si sarebbero lavati nelle docce, ma una volta chiusi all’interno, da queste docce non usciva acqua.

La cosa ancora più tragica era che a far partire il gas spesso non erano addetti delle SS, ma altri internati che davano così la morte ai propri compagni. Ovviamente ogni atto di ribellione sarebbe stato punito con la vita. Questa tipologia di servizio permetteva ai prigionieri di guadagnare qualche agio nel trattamento, o attraverso razioni di cibo in più o attraverso cure mediche altrimenti negate.
Le salme all’interno della stanza venivano poi maneggiate da altri internati, e ammucchiate le une sulle altre, in attesa di diventare cenere all’interno dei forni. Prima però veniva estratto dai corpi tutto ciò che poteva essere venduto esternamente, come i capelli o denti d’oro.

Dopo aver visitato l’opprimente camera a gas si possono vedere i forni affiancati e contornati di fiori, come luogo commemorativo di queste tragedie. Uscendo all’esterno si può leggere la targa “krematorium” che indica il contenuto di questi sotterranei, mentre sopra, proprio tra la baracca dell’infermeria e quella della prigione, si trova la canna fumaria da cui i prigionieri uscivano come fumi. Si racconta infatti che alcune SS, rivolte ai prigionieri, indicavano la porta di ingresso e successivamente la canna fumaria dicendogli “da lì siete entrati” (indicando il portone) “e da lì uscirete” (indicando la ciminiera).

Lager III e Lager II – Settore della quarantena ^

Oltre la baracca dell’infermeria, dove ora si trova il muro di cinta, si trovava il Lager III, ovvero un proseguimento del campo di concentramento resosi necessario per il forte sovraffollamento del campo. Nel 1945 le condizioni erano così pessime che morivano mediamente 200 persone al giorno. Negli ultimi mesi della guerra nel Lager III venivano portate le persone in attesa di essere uccise, quindi tendenzialmente i malati e i più deboli, prima di essere portati all’interno della camera a gas. Alla fine del mese di aprile del 1945 le SS portarono in questa sezione di Mauthausen circa 1400 prigionieri malati, anziani e altri non adatti al lavoro. Conoscendo il destino che li aspettava, gli altri compagni del campo cercarono di salvarli prelevandoli e nascondendoli all’interno delle loro baracche. Molti di questi furono salvati in questa maniera.
I resti del Lager III vennero completamente distrutti negli anni ’70.

Settore per la quarantena - Ora Cimitero

Di fronte all’infermeria si trova invece la sezione conosciuta come Lager II. Si tratta di un cortile circondato da un muro in pietra costruito nel 1941. Inizialmente in quest’area trovavano ricovero i mezzi, infatti qui c’era l’officina del Lager. Nel 1944 però fu cambiato l’utilizzo di questo spazio: venne utilizzato come spazio transitorio per i nuovi arrivati, che prima di accedere al campo dovevano passare qui le prime settimane in quarantena e in condizioni estremamente proibitive. Questo assicurava che i nuovi inserimenti sarebbero stati adatti a lavorare alle condizioni disumane cui erano sottoposti. Per l’occasione vennero aggiunte le baracche dalla 21 alla 24.

Oggi all’interno di questo cortile riposano i resti di circa 3000 prigionieri morti dopo la liberazione del campo. Molti di questi resti sono quelli prelevati dal cimitero esterno al Lager costruito dagli americani.

Blocco 20 e le fondamenta delle altre baracche ^

Al di là del muro del Lager II, ritornando in direzione del portone di ingresso del campo, troviamo un’altra sezione distaccata, a cui è possibile accedere dal cancello aperto. Anche qui una prima parte veniva utilizzata per mantenere i prigionieri in quarantena al loro arrivo per un periodo dalle 2 alle 4 settimane. Questa sezione comprendeva le baracche dalla 16 alla 20.

Proseguendo si arriva all’ultima sezione, dove si può vedere solo il prato e la traccia di quella che era la baracca qui installata: siamo nel blocco 20. In questa piccola area, nell’autunno del 1941 fu istituito lo spazio riservato ai prigionieri di guerra sovietici. I nazisti consideravano i sovietici i più pericolosi in assoluto, per via della loro forte e spiccata ideologia politica. Per questo motivo non veniva dato loro quasi nulla da mangiare ma, nonostante ciò, venivano comunque costretti a turni di lavoro massacranti. Oltre il muro del blocco 20 si trovava il luogo di esecuzione, ovvero dove i prigionieri venivano fucilati da un commissario fino alla fine del 1942. La creazione della struttura per “il colpo alla nuca” venne fatta internamente al campo (si trova all’ingresso dei sotterranei del Bunker) proprio per eliminare questa tipologia di prigionieri.

Le condizioni inumane a cui i sovietici erano sottoposti nella baracca conosciuta come “il blocco della morte“, portò circa 500 prigionieri all’inizio di febbraio 1945 a tentare la fuga. Gettarono coperte bagnate sul filo spinato elettrificato, causando un black out e cercarono di colpire i soldati sulle torrette con ogni genere di oggetto trovato nei dintorni. Le guardie replicarono immediatamente con il fuoco, uccidendo circa 100 detenuti. Gli altri riuscirono a fuggire e si sparsero per le campagne circostanti.
La popolazione di Mauthausen, terrorizzata dalle possibile conseguenze, si guardò bene dal dare aiuto a queste povere persone, così i soldati sparsi per l’intero circondario riuscirono a ritrovare la maggior parte dei sovietici e li giustiziarono all’istante. Dei 500 che tentarono la fuga solo 11 riuscirono a sopravvivere a quella che venne rinominata la “caccia alla lepre di Muhlviertel“.

Tornando verso il piazzale dell’appello si possono vedere le fondamenta in mezzo al prato delle baracche dalla 6 alle 11, dalla capienza di circa 300 prigionieri ma che sono arrivate ad ospitarne fino a 2000. Oltre il filo spinato, che veniva elettrificato a 380 volt, si trovava il cosiddetto “deposito delle ceneri“, ovvero dove i resti dei forni crematori venivano scaricati.

Subito dopo queste fondamenta si trovano le fondamenta della baracca 5, che dal 1941 al 1944 ospitò i prigionieri ebrei. Questa tipologia di internati era la più disprezzata in assoluto, trattati come animali non avevano letti su cui dormire, ma dovevano dormire gli uni sugli altri, senza alcun tipo di protezione anche durante gli inverni più freddi. A loro toccavano i lavori più duri e, spesso, se non morivano di stenti venivano uccisi con scuse totalmente inventate come tentativi di fuga.

All’interno del campo era stata ricreata un’organizzazione gerarchica: alcuni prigionieri ricevano potere su altri compagni. Si trattava di prigionieri funzionari, o Kapò, che dovevano garantire l’ordine nel Lager. In cambio venivano date loro migliori condizioni di vitto e alloggio o addirittura la possibilità di usufruire del bordello. Il mantenimento dell’ordine richiedeva che i kapò non esitassero ad usare la forza e la violenza contro i propri compagni e anche per questo motivo era difficile che i prigionieri solidarizzassero tra loro. La baracca 1 era quella deputata all’organizzazione: qui, nella metà destra, c’era l’ufficio degli scrivani del Lager, che si occupavano di tenere la contabilità su dati personali e status dei deportati. A loro spettava anche il compito di assegnare le squadre di lavoro e smistarle nei vari sottocampi creati nei dintorni di Mauthausen. Al centro della baracca 1, invece, si trovava lo “spaccio”, ovvero l’area dove i funzionari e altri prigionieri privilegiati potevano acquistare beni come tabacco, materiale per l’igiene e raramente anche cibo. Dal 1942, infine, la parte sinistra della baracca veniva utilizzata come bordello per i prigionieri. Le donne che venivano abusate provenivano da un altro campo di concentramento e credevano nella promessa fattagli di riscattare le loro prestazioni con la libertà. Ovviamente anche questa promessa non fu mai mantenuta.

Memoriale dei Deportati – Parco dei Monumenti ^

Si è fatto tardi e il Lager di Mauthausen è in chiusura. Fortunatamente siamo comunque riusciti a girarlo tutti. Abbiamo mantenuto per ultime alcune parti che si trovano all’esterno della mura contenitive.

Subito oltre il portone di ingresso al campo si trova il parco dei monumenti. Si tratta di un’area che, successivamente alla chiusura del campo di concentramento, è stata pian piano riempita di monumenti che celebrano i prigionieri deceduti all’interno del Lager. Ogni nazione ha inserito un proprio monumento per ricordare i suoi morti.

In quest’area, quando il campo era in funzione, si trovavano le baracche delle SS che alla chiusura del campo andarono distrutte. A partire dal 1950 il parco iniziò a popolarsi di monumenti nazionali. Si trovano persino alcuni monumenti che rappresentano nazioni che al giorno d’oggi non esistono più , come la Jugoslavia e l’Unione Sovietica. Soltanto negli anni ’70 venne costruito un monumento per gli ebrei che rimasero uccisi all’interno del Lager, quando molti dei monumenti nazionali erano già presenti.

Tra i più imponenti si trova il monumento sovietico, dove una torre in mattoni si staglia verso il cielo. Il più suggestivo secondo me è invece il monumento della Cecoslovacchia, dove la grande statua di un uomo segnato dalla fame sta con le mani a mezz’aria. Interpreto questa figura come quella di un deportato che, esausto cerca di gridare per chiedere aiuto, ma senza ricevere alcun soccorso.

Tra gli altri monumenti si trova anche quello italiano. La parte interna è stata riempita di targhe che ricordano i tanti italiani deceduti nel campo di concentramento di Mauthausen.

Scala della Morte di Mauthausen ^

Proseguendo oltre il parco dei monumenti ci affacciamo sulla grande cava che si trova sotto di noi. I lavori forzati a cui erano assoggettati i detenuti venivano svolti per la maggior parte proprio qui. Per raggiungere e lavorare nella cava i deportati dovevano percorrere la scala della morte, di 186 scalini. I prigionieri salivano e scendevano questa scala trascinando blocchi di granito pesanti fino a 50 chilogrammi. La missione era davvero pesante, se non impossibile, e le SS lo sapevano. Nonostante ciò non perdevano occasione per perpetrare il male e spingere i prigionieri che si fermavano perché troppo affaticati.

Cava di Granito e Parete dei Paracadutisti ^

La destinazione della scala della morte era la cava di granito che si trovava proprio sotto il campo di concentramento di Mauthausen. Noi non la raggiungiamo tramite la scala, ma usciamo dal campo e prendiamo l’auto. Per raggiungerla percorriamo un tratto di strada sterrata che sembra porti oltre la nostra destinazione, ma poi dopo una discesa ci troviamo proprio davanti la cava. Parcheggiata l’auto arriviamo in questo luogo immerso nel silenzio e desolato, senza alcun tipo di controllo.

L’atmosfera che respiriamo è surreale e solo sapere cosa succedeva qui nemmeno un secolo fa ci mette i brividi. Alla nostra sinistra abbiamo la scala della morte che sale fino al campo, mentre davanti a noi si trova la cosiddetta “parete dei paracadutisti“. Il nome di questa parete di roccia è dovuto al fatto che spesso i prigionieri venivano eliminati facendoli cadere da questo strapiombo. La cosa ancora più atroce è che venivano messi in fila indiana e il secondo doveva spingere il primo della fila giù, uccidendosi di fatto l’un l’altro. Il secondo diventava poi il primo della fila e veniva spinto a sua volta. Queste esecuzioni venivano messe in atto sotto gli occhi vigili dei detenuti che stavano lavorando nella cava e che vedevano i corpi cadere a pochi passi da loro.

La costruzione del campo di concentramento in questa posizione la si deve proprio alla presenza della cava di granito, nella quale si potevano impiegare i detenuti per arricchire l’azienda di estrazione: la società DEST (Deutsche Erd- und Steinwerke GmbH). Grazie al loro sfruttamento questa impresa fece enormi profitti e questa cava, insieme a quella vicina del sottocampo di Gusen (distante 4 chilometri), diventò un enorme complesso industriale.

Il lavoro nella cava continuò fino al 1943, quando venne progressivamente abbandonata per impiegare i prigionieri nell’industria degli armamenti. Poco distante da qui venivano infatti prodotti parti di aerei, in capannoni che sono poi andati distrutti.

Terminato il pomeriggio all’interno del campo di Mauthausen, continuo a interrogarmi su quanto la mente umana possa essere condizionata per permettere a migliaia di persone di compiere queste brutalità su altri essere umani. Quello della Shoah e dei deportati in genere è un tema che mi colpisce molto ogni volta che ci rifletto, e dopo ogni visita a un campo di concentramento mi sento stanco e disgustato.

La sera pernottiamo in una pensione a Salzkammergut, a 130 chilometri di distanza, e ci arriviamo in circa un’ora e mezza di auto. Ci troviamo a poca distanza dall’Hallstatter See, la meta di domani: un lago immerso nella regione centrale dell’Austria, ricca di specchi d’acqua. Fuori piove costantemente, il mal tempo che ci ha accolto a Mauthausen continua per il resto della giornata. Arrivati alla pensione troviamo a fatica il parcheggio per l’automobile e speriamo che il ristorante interno sia ancora aperto. Dopo una fredda accoglienza scopriamo che non è così, anche i consigli ricevuti dalla receptionist non sono molto convincenti, così decidiamo di passare la serata all’interno della pensione onde evitare di doverci muovere sotto la pioggia. Oggi si salta la cena, ma in fondo nel tragitto in macchina abbiamo mangiato diversi snack.

Prima di dormire continuiamo a ripensare a quanto di allucinante abbiamo visto. Cerchiamo su internet altre informazioni per capire meglio e trovare qualche immagine più datata che ci racconti da altri punti di vista la storia di Mauthausen. Ci imbattiamo in un paio di documentari su youtube, molto interessanti, ma non proprio ottimali per conciliare il sonno, come quello a questo link.

Quella di Mauthausen è sicuramente la tappa più triste del viaggio in Austria, ecco tutte le altre.

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Mauthausen - Visita al Campo di Concentramento AustriacoFoto e dettagli della visita al campo di concentramento di Mauthausen, tra i pochi Lager categorizzati di livello tre, per la crudeltà delle condizioni interne. Orari di apertura e costi, oltre le informazioni su ogni settore del campo.https://www.lorenzotaccioli.it/mauthausen-visita-al-campo-di-concentramento-austriaco/
Lorenzo Taccioli