Quella dei ritratti è una branca della fotografia estremamente complessa a mio modo di vedere. Non è sufficiente immortalare una persona in una foto per creare un buon ritratto, ma è necessario riuscire ad emozionare attraverso la sua espressione o il contesto in cui si trova.
Mi sono sempre cimentato poco in quest’arte, perché credo non faccia troppo per me e i risultati non arrivino in maniera particolarmente efficace. Sono però sempre stato un grandissimo amante dei ritratti e più in particolare di quelli ambientati. Sì, non prediligo i ritratti in studio dove è vero che per distinguersi bisogna sapere maneggiare in maniera eccelsa le luci e i materiali riflettenti, plasmando luce e ombra con maestria. Però un ritratto in studio è pur sempre una fotografia con uno sfondo monotono o poco di più e, perché la fotografia sia interessante bisogna essere dei draghi e avere come modelli persone molto espressive o particolari.
I ritratti ambientati sono invece molto più interessanti per me, perché non solo il soggetto è posto all’interno di uno spazio che racconta qualcosa, ma ci può interagire o può dare adito a storie e fantasie che ti fanno immagine e capire cosa quella persona sta facendo. I ritratti all’interno di spazi naturali o di contesti lavorativi, industriali, casalinghi e chi più ne ha più ne metta, permettono all’immaginazione di lavorare e al fotografo di dare un senso ulteriore alla fotografia di un ritratto, aggiungendo elementi o scegliendo meticolasamente quali fare apparire nell’inquadratura.
All’arte dei ritratti ambientati spesso e volentieri si unisce quella della staged photography, un filone in cui il fotografo diventa sceneggiatore e davanti alla sua lente costruisce un vero e proprio set, in cui la persona ritratta diventa protagonista di una vera e propria messa in scena costruita per comunicare un particolare significato. Quest’area della fotografia la trovo veramente irresistibile.