La Torre di Fondazione Prada a Milano

Upside Down Mushroom Room di Carsten Holler - Atlas a Fondazione Prada

Il quartiere generale di Fondazione Prada, a Milano, è finalmente completato. Con l’apertura della struttura della Torre, uno dei più importanti poli artistici della città ha ampliato gli spazi per la sua collezione d’arte contemporanea permanente.

Al suo interno si trovano svariate opere di molti artisti, tutti di fama internazionale, che hanno esposto i loro progetti in Fondazione Prada durante gli anni.

Il Progetto della Torre di Fondazione Prada ^

Il 20 aprile 2018, in corrispondenza con gli eventi del Fuori Salone del Mobile, ha aperto i battenti l’ultima parte di Fondazione Prada. L’intero progetto che ha riguardato la riqualificazione di una vecchia distilleria, ha dato vita a un piccolo quartiere interamente volto all’arte contemporanea.

La torre di Fondazione Prada si aggiunge infatti agli altri spazi museali che la casa di moda aveva già aperto precedentemente a Milano e che si sommano all’osservatorio Prada: uno spazio in galleria Vittorio Emanuele dedicato esclusivamente alla fotografia.

La Torre di Fondazione Prada raggiunge un’altezza di 60 metri e nella sua forma massiccia sono stati ricavati ben nove piani, con un’altezza progressivamente crescente, man mano che si avanza verso l’alto. Al piano terra l’ambiente ha un’altezza di 2,7 metri, mentre all’ultimo piano raggiunge gli 8 metri. Il progetto è stato firmato dall’architetto Rem Koolhaas, in collaborazione con lo studio OMA di cui fa parte anche l’italiano Federico Pompignoli. I materiali impiegati in questa struttura sono principalmente il cemento di colore bianco ed il vetro: gli interni sono infatti generosamente illuminati da ampie vetrate che sostituiscono alcuni muri perimetrali e che regalano suggestivi panorami sul capoluogo lombardo.

L’architettura della torre è irregolare: la base è trapezoidale, ma i singoli piani si sviluppano su di una pianta che varia dal trapezio al rettangolo. Mentre da un lato la sua forma è regolare, dall’altro è presente un gioco di enormi triangoli, come ritagliati sulla facciata. A completare la struttura è presente l’ascensore in vetro che sale parallelo alla torre, ma che grazie alla struttura inclinata sembra muoversi in maniera obliqua, mostrando e nascondendo i tetti delle case che circondano questo spazio artistico e la Haunted House dorata.

La Torre di Fondazione Prada è uno degli elementi che è stato aggiunto rispetto all’architettura originaria di questa distilleria. Gli altri due sono il Podium, adiacente alla biglietteria e lo spazio del Cinema.

Atlas – La Mostra nella Torre di Fondazione Prada ^

All’interno della Torre di Fondazione Prada è stata allestita la mostra Altas, frutto di un dialogo tra Miuccia Prada e il curatore artistico Germano Celant. La mostra si sviluppa su 6 dei piani della Torre, mentre al primo terra è presenta l’ingresso, al secondo i servizi quali bagni e guardaroba, mentre al sesto e settimo si trovano il ristorante e il bar.

Dentro ad Atlas sono presenti numerose opere appartenenti alla collezione Prada, provenienti da mostre precedentemente allestite in questi ed altri spazi. Ogni piano della Torre di Fondazione Prada presenta uno o più artisti, scelti in base ad assonanze o confronti tra le opere.

Attraverso il biglietto di accesso alla mostra permanente è possibile accedere a diversi spazi: la Torre, le opere dell’Haunted House (anche se nei giorni più affollati sarà necessario prenotare l’orario di visita in biglietteria) e le mostre dell’Osservatorio Prada.

Le Opere della Torre di Fondazione Prada ^

Le opere in mostra dentro alla Torre di Fondazione Prada ripercorrono un periodo temporale che va dal 1960 al 2016 e buona parte di queste hanno un valore sul mercato dell’arte da far girare la testa: Damien Hirst, Jeff Koons e Pino Pascali sono solo alcuni degli artisti presenti in Atlas.

Le opere presenti sono tratte da mostre tematiche e collettive, da antologiche e mostre personali curate direttamente dagli artisti stessi. Il percorso tra i vari piani sottointende un viaggio alla scoperta dell’attività espositiva che grazie alla prossimità e alla lontananza permette una nuova lettura di queste opere.

Noi cominciamo la nostra visita dall’ultimo piano allestito con la mostra permanente. Lo raggiungiamo in ascensore e la vista sulla città e sull’Haunted House diventa sempre più suggestiva mentre continuiamo a salire. Da qui poi scendiamo, attraverso le scalinate interne, i vari piani per completare il percorso di visita.

Upside Down Mushroom Room di Carsten Holler – i Funghi di Fondazione Prada ^

Appena arrivati al piano più alto delle esposizioni nella Torre di Fondazione Prada veniamo accolti da una ragazza che ci mostra la direzione. La nostra visita comincia addentrandoci nel corridoio buio di Carsten Holler: l’installazione Gantenbein Corridor, del 2000.

Il corridoio è veramente buio e non si vede nulla, è necessario procedere passo a passo tenendo le mani tese per proteggersi da eventuali ostacoli. Sulla destra un corrimano permette di seguire la direzione, muovendosi tra le curve a novanta gradi del percorso.

All’improvviso una luce ci proietta verso la prossima opera, sempre di Carsten Holler: Upside Down Mushroom Room. Questa è con ogni probabilità l’allestimento più conosciuto, e più fotografato, di tutta Fondazione Prada. Una luce neutra illumina degli enormi funghi che pendono da un soffitto grigio/azzurro e che ruotano su loro stessi. Ci si trova spaesati sia per le dimensioni di queste strutture, sia per il fatto che ci si ritrovi sotto sopra. L’illuminazione arriva dal basso, grazie a numerose fessure piene di luce.

Anche Upside Down Mushroom Room risale all’anno 2000, nonostante il fungo sia una forma che ritorna nelle opere di Carsten Holler dal 1994. Questa particolare installazione è stata presentata proprio a Fondazione Prada, ma poi è stata portata anche in altri spazi, come al MOCA di Los Angeles nel 2005.

I colori di cui sono tinti i funghi rappresentano varietà allucinogene e velenose.. Non si può fare a meno che farsi incantare da questa atmosfera fiabesca e onirica allo stesso tempo e rimanere a scattare diverse foto all’interno di questa sala.

Blue Line di John Baldessari ^

Usciti da Upside Down Mushroom Room arriviamo all’ultima installazione su questo piano della Torre di Fondazione Prada: Blue Line di John Baldessari.

Il nome dovrebbe aiutare in qualche modo a capire l’opera. In un primo momento rimaniamo un po’ spaesati: entriamo in una stanza dove l’unico oggetto di scena è una proiezione che avviene su di un muro. All’interno della proiezione si vede una riga blu, più o meno centrata nell’inquadratura. Rimaniamo qualche minuto fermi nell’attesa che avvenga qualcosa che in realtà non accade.

Quando facciamo per uscire, passiamo per una seconda sala dove una grande sagoma cartonata occupa il centro della stanza. Sui lati è presente la stessa figura del Cristo Morto nella tomba, realizzata da Holbein il Giovane. Il cartonato ha uno spessore blu, che è inquadrato costantemente da una telecamera. Le immagini, con un leggero ritardo (circa 60 secondi), vengono proiettate nella sala affianco.

Blue Line di John Baldessari - Cristo Morto nella Tomba

L’installazione Blue Line risale al 1988 e proprio il ritardo con cui le riprese vengono proiettate dà al visitatore l’impressione di essere contemporaneamente in due luoghi e di vivere l’opera sia da spettatore che da protagonista.

The Last Judgement di Damien Hirst – le Mosche di Fondazione Prada ^

Scendiamo al piano inferiore attraverso le larghe scalinate interne e arriviamo in una grande sala quasi esclusivamente dedicata a Damien Hirst, se non per una parete sulla quale si trovano i dipinti di William N. Copley.

Appena entrati veniamo colpiti da un enorme parete in formica, sulla quale è presente una grande ‘tela’ scura. Solo avvicinandoci vediamo che la tela è in realtà composta da un numero enorme di mosche appiccicate su di questo supporto attraverso una resina. The Last Judgement è un’opera di Damien Hirst del 2002 e si collega ad altre sue creazioni, sempre presenti in questa sala in cui la mosca è una dei protagonisti.

Tears for Everybody’s Looking at You di Damien Hirst ^

Proprio davanti al grande “dipinto” fatto di mosche troviamo l’opera Tears for Everybody’s Looking at You, realizzata sempre da Damien Hirst, nel 1997.

All’interno di un cubo in vetro e acciaio un ombrello nero è sorretto a mezz’aria e continuamente inondato da una griglia che simula una pioggia battente. Nella pozzanghera venutasi a creare a terra, sono presenti due anatre artificiali, ferme a mezz’acqua. Il rumore creato da questa’opera, di acqua scrosciante e continua, è percepibile già lungo gli scalini che conducono fino a questo ottavo piano.

All’interno della teca l’autore ha ricreato un piccolo ecosistema, dove l’acqua che piove dal cielo si accumula a terra e, tramite una pompa idraulica, viene riportata in alto per farla piovere nuovamente. Le papere che sguazzano nell’acqua cercano di essere protette dall’ombrello che le scherma dall’acqua che allo stesso tempo è per loro fonte di vita.

L’utilizzo della teca è ricorrente nelle opere di Damien Hirst e simboleggia da una parte qualcosa di pericoloso, dal quale tenersi lontano, e dall’altra un elemento che permette comunque di vedere cosa succede al suo interno.

Tears for Everybody s Looking at You di Damien Hirst - Ombrello e Papere Finte in Teca

Nella creazione di Tears for Everybody’s Looking at You Damien Hirst si è ispirato al dipinto Painting, realizzato da Francis Bacon nel 1946.

La serie Waiting for Inspiration di Damien Hirst ^

Al fianco di Tears for Everybody’s Looking at You sono presenti altre due teche, collegate tra loro. Queste sono opere del 1994 sempre di Damien Hirst: Waiting for Inspiration (Red) e Waiting for Inspiration (Blue), unite in Waiting for Inspiration (Red and Blue).

In questa serie di opere la protagonista è nuovamente la mosca. All’interno delle teche, tre strutture cubiche di vetro e acciaio ospitano le mosche che possono volarci liberamente dentro. Il loro destino è però segnato, oltre all’impossibilità di uscire dalla struttura si scontreranno con un apparecchio cattura insetti che inesorabilmente le ucciderà.

A terra è pieno di mosche morte e i cadaveri sono ammassati su di un tavolo e sul pavimento. La mosca, simbolo di morte anche durante la sua vita per la ‘passione’ innata per i cadaveri diventa vittima e, ormai cadavere, viene guardata dai fruitori della mostra.

A Way of Seeing di Damien Hirst ^

L’ultima opera presente di Damien Hirst è A Way of Seeing, del 2000. All’interno di un’ulteriore teca è rinchiuso un ricercatore, intento a guardare all’interno del suo microscopio. L’ambiente che lo circonda fa presupporre che si trovi li da svariato tempo.

Intento a scrutare i suoi vetrini con tracce biologiche è circondato da un ambiente quasi vacanziero: la teca dello studio scientifico è a sua volta rinchiusa in una seconda teca più grande, che si separa dalla prima grazie a uno strato di sabbia a terra. Sui vetri una cartolina ‘rallegra’ l’ambiente.

A Way of Seeing - lo Scienziato di Damien Hirst

I Dipinti di William N. Copley ^

Le pareti di questo piano ospitano diversi dipinti di William N. Copley, riconoscibili dai colori accessi e dai contenuti espliciti. L’artista venne ospitato per una mostra a Fondazione Prada tra il 2016 e il 2017.

Copley fu un precursore della pop art e con i suoi quadri, che spesso rappresentavano in maniera ironica simboli di stereotipi americani, aveva incuriosito molti altri artisti, tra cui il padre della pop art Andy Warhol. Negli anni settanta, dopo aver divorziato dalla moglie, i suoi dipinti iniziarono a vertere spesso su tematiche quali le differenze e le sfide tra uomini e donne nelle relazioni. I risultati andavano dall’erotico al pornografico e per questo fecero fatica ad essere pienamente accettati dal pubblico americano, mentre ebbe più successo in Europa.

In mostra sono presenti diversi dipinti di William N. Copley, tra i quali Rape of Lucretia del 1972, nel quale un uomo è intento a sculacciare una donna accondiscendente e Gathering of the Clan del 1974 nel quale un’altra donna mostra le sue virtù.

I Dipinti Erotici di William N. Copley

Confluenze, Pelo e Meridiana di Pino Pascali ^

Scendiamo ancora dentro alla Torre di Fondazione Prada e ci ritroviamo in una sala illuminata dalle grandi vetrate poste sui due lati. Il monospazio in cui ci troviamo ospita opere di Pino Pascali e Michael Heizer.

Pino Pascali occupa lo spazio centrale di questo quinto piano, con le sue installazioni: Confluenze del 1967, Pelo e Meridiana poste agli opposti, entrambe del 1968. L’autore era un’artista italiano, grande esponente dell’arte povera, che raggruppa tutti quegli artisti che sono soliti produrre opere accostando oggetti tratti dall’uso quotidiano e solitamente di poco valore. Pascali nasce come scenografo e questa sua esperienza si ritrova spesso nelle opere che ha prodotto. Purtroppo muore nel 1968 a soli 33 anni a Roma, investito da un automobile mentre correva in moto.

In Confluenze, due serie di vasche basse e quadrate vanno confluendo verso l’installazione Pelo. Al loro interno è presente acqua con blu metilene che va progressivamente depositandosi sulle vasche all’inevitabile evaporare dell’acqua.

Anche le forme delle opere richiamano oggetti di uso quotidiano e così una meridiana assume dimensioni ragguardevoli ed è stata ricoperta di lana d’acciaio e gommapiuma e si erge proprio all’inizio delle due serie di vasche.

Dal lato opposto, invece, Pelo è un enorme pouf ricoperto di un materiale all’apparenza morbidissimo. Ovviamente non è consentito toccare l’installazione, ma per sua natura invoglia tantissimi curiosi che vengono continuamente richiamati dal personale della Fondazione.

Negative Steel Square e Negative Steel Circle di Michael Heizer ^

Alle pareti della sala sono invece presenti le opere di Michael Heizer. Anche in questo caso sono agli opposti e sembrano quasi parlarsi. Se da una parte sono presenti opere risalenti agli anni settanta, dove su strutture in legno sono state cucite le tele poi dipinte, dall’altra vediamo Negative Steel Square e Negative Steel Circle, entrambe del 1996.

Queste sono due enormi forme geometriche in ferro, appese al muro e fondano la loro origine nella ricerca che Michael Heizer fa sulla terra e sulle rocce. A rendere famoso Michael Heizer sono infatti le sue grandi opere nei deserti americani, come quello del Nevada, in cui ingabbia, costruisce o scava delle forme geometriche che si muovano lungo il terreno.

Le Opere della Coppia Edward e Nancy Kienholz ^

Scendiamo ancora lungo la torre di Fondazione Prada e arriviamo in una sala che raccoglie le opere di Edward e Nancy Kienholz e Mona Hatoum.

Avevo già visto le opere dei coniugi Kienholz proprio durante la mostra Five Car Stud allestita in Fondazione Prada. Qui se ne trovano alcune che ben rendono la progettualità della coppia: assemblaggi di oggetti il più svariato possibile tra loro compongono le singole opere. Così una lampada completa una serie di casse in legno, sgabelli e neon in Die Nornen del 1976 o, guardando bene si può scorgere una spilletta riportante una svastica in Brunhilde creata nello stesso anno. Questi sono solo due dei pezzi presenti in Fondazione Prada dei Kienholz e sono accompagnati da altri con la stessa logica costruttiva.

In alcune di queste creazioni è possibile ascoltare brani di Wagner azionando le pedaline collegate ai marchingegni. L’idea che cumuli di rifiuti possano suonare delle composizioni classiche è una delle tante provocazioni che hanno mosso l’intera progettualità di Kienholz, ma forse non è del tutto fuoriluogo considerando che alcune di queste radio rappresentano simboli nazisti e, quasi in una forma di riscatto, cambiano diametralmente i concetti che fanno fuoriuscire dalle loro casse.

Le altre creazioni sono principalmente composte da cavi, gabbie, falci, lampade, radio, componenti meccaniche e altri rottami (o quasi) in genere.

Remains of the Day di Mona Hatoum – gli Arredi Bruciati della Torre di Fondazione Prada ^

Un intero lato della terza sala della Fondazione Prada è occupato dagli arredi bruciati di Remains of the Day di Mona Hatoum, del 2016. Una sala e una camera sono andati a fuoco e così sedie, tavoli, tavolini, letto, comodino e persino degli arredi per i più piccoli accompagnati da un piccolo giocattolo, sono mantenuti su da gabbie metalliche che contengono i resti carbonizzati.

Nonostante non sia ben chiaro, non è possibile girare intorno a queste creazioni, ma è necessario mantenersi frontali alla parete se non si vuole essere richiamati dal personale di guardia.

Mona Hatoum è di origine palestinese, un paese in continuo conflitto e così l’interpretazione dell’opera si apre a tantissime varianti: da una denuncia sulle conseguenze civili dei conflitti armati, alla fuggevolezza dei tempi che, quasi come se gli arredi fossero in decomposizione, lascia solo vaghi ricordi delle cose, fino a un riferimento alla totale instabilità che dilaga nel mondo contemporaneo. Nell’opera Remains of the Day rimangono solo gli scheletri degli arredi, lasciando a sola memoria le idee, le situazioni, gli scritti e quant’altro possa essere stato protagonista in questi ambienti.

Un’altra versione di Remains of the Day venne creata per l’Hiroshima Art Prize e ancora una volta andava a focalizzarsi sui disastri che la guerra (e una bomba in particolare modo) possono andare a creare nella vita del singolo essere umano.

Pin Carpet di Mona Hatoum ^

Praticamente al centro della sala è presente un’altra opera di Mona Hatoum: Pin Carpet del 1995, dove degli spilli in acciaio inossidabile danno vita a un tappeto perennemente sorvegliato dal personale. Il motivo è presto detto: i 750 mila spilli utilizzati sono rivolti verso l’alto e l’opera non ha alcuna forma di protezione verso i visitatori che, incautamente, potrebbero ferirsi. 

Pin Carpet rispecchia una sensazione di pericolo quotidiano e insito negli oggetti di tutti i giorni, che dovrebbero invece dare sicurezza al singolo. Anche qui si può leggere un riferimento verso la situazione politica che avvolge il paese natale di Mona Hatoum. Pin Carpet richiama chiaramente anche un tappetto di preghiera utilizzato nelle funzioni religiose del suo paese, ma sul quale è impossibile inginocchiarsi.

L’opera Pin Carpet venne presentata per la prima volta alla Biennale di Istanbul, in accoppiata con Prayer Mat, una seconda versione con al centro una bussola che permette di orientarsi al meglio verso la Mecca.

Non è l’unica volta in cui l’artista utilizza l’oggetto del tappeto nelle sue produzioni. In Entrails, del 1995, il tappeto era in gomma siliconica e ripercorreva la forma di un intestino umano. Mentre da lontano la texture sembrava essere attraente, il visitatore avvicinandosi provava quasi un senso di repulsione. 

Pin Carpet di Mona Hatoum - Tappeto di Spilli

Spesso nelle opere di Mona Hatoum si innesca un meccanismo di seduzione che si trasforma in repulsione avvicinandosi e guardandole più attentamente.

Bel Air Trilogy di Walter de Maria ^

Scendendo di un ulteriore piano passiamo dagli oggetti ‘poveri’ assemblati in opere d’arte, allo sfarzo della sala completamente dedicata a Walter de Maria e alle sue Bel Air Trilogy: tre opere create tra il 2000 e il 2011, nelle quali delle barre di acciaio inossidabile attraversano letteralmente delle Chevrolet Bel Air modello bicolore hard-top del 1955.

Siamo al terzo piano della Torre di Fondazione Prada e tra tutte le sale espositive questa è l’unica a ospitare un unico artista, anche per via degli spazi ridotti.

Nonostante questo scultore statunitense sia principalmente noto per opere di Land Art, qui è rappresentato dalle tre auto posizionate come in un autoconcessionaria, dove l’aspetto immacolato di carrozzerie e interni è contrapposto a lunghe barre in acciaio inossidabile che attraversano completamente le tre Chevrolet dal lunotto al parabrezza. Le tre auto sono penetrate da barre dalle sezioni differenti: un quadrato, un cerchio e un rettangolo, anche queste tirate a lucido. 

Le Bel Air nonostante l’aspetto fantastico, sono quindi impossibili da guidare, oltre che per l’ingombro che non permette a passeggeri e guidatore di accomodarsi al suo interno, anche per il fatto che sono stati rimossi specchietti retrovisori e motori e, inoltre, le ruote sono state sgonfiate. Queste opere rappresentano quindi qualcosa di bellissimo da vedersi, ma totalmente non funzionante: l’estetica della materia è diventato quindi l’unico plus di queste macchine messe in esibizione e desiderate dai collezionisti.

Tulips di Jeff Koons ^

La mostra Atlas dentro alla Torre di Fondazione Prada termina, o comincia a seconda di dove si inizia il percorso, con il piano dedicato a Jeff Koons e Carla Accardi. 

Mentre le opere dell’Accardi occupano le pareti di questa sala, l’unica installata a terra è Tulips di Jeff Koons, anche per via delle sue generose dimensioni che arrivano ad oltre 5 metri per 2 metri per 4 metri e mezzo.

Tulips è stata prodotta tra il 1995 e il 2004 in acciaio inossidabile dipinto e rende immediatamente riconoscibile l’autore e il soggetto dell’opera il cui titolo è piuttosto didascalico. Sette tulipani, tutti di colori differenti ed estremamente lucidi, sono appoggiati a terra e sorretti dal fiore e dal gambo.

Tulips rappresenta a pieno la produzione di Jeff Koons, rappresentante dalla corrente neo-pop americana e che con opere che richiamano un gusto kitsch descrive perfettamente il consumismo dilagante nello stile di vita americano e mondiale. Emblema di questo artista è l’opera Balloon Dog, in cui con gli stessi materiali di Tulips riproduce le forme di un palloncino ripiegato a forma di cane. Il classico usa e getta diventa quindi perenne grazie all’utilizzo dell’acciaio inossidabile.. e viene venduto alle cifre record che si aggirano intorno ai 60 milioni di dollari.

Grande Trasparente e Dieci Triangoli di Carla Accardi ^

Ai muri della sala sono presenti sette creazioni di Carla Accardi. In queste opere, specie quelle in corrispondenza di Tulips, l’uso del colore è massiccio e importante. Sulla parete bianca, di fronte alle grandi vetrate che danno sulla vista di Milano sono presenti Verdenero del 1967, Grande Trasparente del 1976, Giallorosa del 1967, un secondo Grande Trasparente del 1976 e Rossonero del 1967.

Sui due muri di fondo, invece, un terzo Grande Trasparente del 1975 e Dieci Triangoli del 1978. In tutte le opere di Carla Accardi i materiali sintetici, come il sicofoil, e i colori sgargianti in oltre metà delle opere, sono gli elementi che le contraddistinguono.

Carla Accardi, insieme a Pino Pascali, sono gli unici due artisti italiani presenti nella Torre di Fondazione Prada e nella mostra permanente Atlas. L’Accardi è stata una forte esponente dell’astrattismo in Italia e, cominciando con dipinti a tempera abbandona l’utilizzo di questo colore per darsi alle vernici colorate e fluorescenti che applica su supporti plastici e trasparenti, come nei migliori esempi di arte povera. 

Il Ristorante della Torre di Fondazione Prada ^

Al sesto e settimo piano della Torre di Fondazione Prada sono presenti il ristorante, il bar e una bellissima terrazza. Purtroppo l’accesso non è permesso con il biglietto delle mostre, ma è consentito solo agli ospiti del ristorante.

Anche qui l’arte non digiuna, infatti questo spazio è arricchito con arredi originali provenienti dal Four Season Resaturant di New York, progettato nel 1958 da Philip Johnson. Ad impreziosire ulteriormente questo spazio si trovano ulteriori installazioni artistiche, come The Double Club di Carsten Holler, tre sculture di Lucio Fontana e altri pezzi di artisti come Jeff Koons e Goshka Macuga.

Alle pareti, come nei classici ristoranti italiani, sono presenti quadri di piatti, ma realizzati da artisti come Mariko Mori, Thomas Demand e John Baldessari.

Il ristorante è completato da una bella terrazza con vista sulla città. Il pavimento e i parapetti riprendono gli elementi che caratterizzano gli altri spazi della Fondazione Prada: porfido e schiuma di alluminio.

All’interno del ristorante è presente anche una piccola area bar, dove poter sorseggiare un aperitivo o un cocktail.

Leggi anche la guida agli altri spazi e alle mostre permanenti di Fondazione Prada a Milano o la guida allo spazio dedicato esclusivamente alla fotografia dell’Osservatorio di Fondazione Prada.

https://www.lorenzotaccioli.it/wp-content/uploads/2019/05/Upside-Down-Mushroom-Room-di-Carsten-Holler-Atlas-a-Fondazione-Prada-600x400.jpg
px600
px400
La Torre di Fondazione Prada a MilanoGuida completa sugli spazi della Torre di Fondazione Prada, il progetto architettonico, l'elenco dettagliato delle opere in mostra ad Atlas, e il ristorantehttps://www.lorenzotaccioli.it/torre-fondazione-prada-opere-progetto/
Lorenzo Taccioli